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Addio a Pietro Citati, biografo che tra una citazione e l'altra sfruttava il talento dei grandi

Mariarosa Mancuso

Lo scrittore e critico letterario è morto a 92 anni. Nel 1984 ha vinto il premio Strega con la biografia Tolstoj

Avete mai sentito uno scrittore che per raccontare la sua amicizia con un altro scrittore parla di coltello a serramanico? “Anche con me, dopo tanti anni, non esita a far scattare la lama”. Intendiamo: del coltello parla in pubblico, e lo mette per iscritto, mentre l’altro scrittore è ancora vivo. Non erano smancerie di facciata e pugnalate dietro la schiena, come succede tra scrittori. Erano amici davvero. Pietro Citati la mattina scriveva nella sua casa in Maremma, poi in macchina faceva i venti chilometri che lo separavano dal capanno sulla spiaggia di Carlo Fruttero, e lì si metteva va leggere il giornale.

 

Conversazione, poca. Fruttero dice che Citati non ammetteva repliche. Da Ti trovo un po’ pallida, edizione 2017: “Quella Citroën, di quel colore, di quella cilindrata, è l’unica giusta; quella pasticceria di Gavorrano è l’unica che sa fare i salatini; quel certo albergo in Cadore è l’unico dove si sta veramente bene… Se accenni a un albergo in val d’Aosta, Citati taglia corto con una smorfia: ‘La Val D’Aosta non esiste, cancellata dalla mappa’”. Va detto che di amicizie “soccombenti”, o almeno dispettose a suo sfavore, Citati sapeva qualcosa per via del sodalizio con Carlo Emilio Gadda, che puntualmente gli telefonava all’una e mezza, mentre il pranzo in tavola si raffreddava.
   

Le mattine lavorative erano dedicate alle biografia, Citati style. Sempre riguardanti i grandi della letteratura – aveva fatto in gioventù il critico militante, facendosi più nemici che amici, come è giusto, poi aveva deciso per i valori sicuri. La svolta verso le biografie – con Tolstoj vinse nel 1984 il premio Strega – è sempre sfuggita alle nostre forze di lettori per il resto onnivori. Funziona così: si legge per bene l’opera di uno scrittore – Kafka o Katherine Mansfield per ricordarne un paio soltanto, ma ci sono Goethe e Dostoevskij – e si riscrive la vita alla luce dell’opera. Saccheggiando lettere e citazioni. Sfruttando il talento dei grandi.

   

Esempio pratico, La metamorfosi di Franz Kafka racconta un uomo che dopo una notte di sogni inquieti si risveglia scarafaggio. Ebbene, secondo Citati Kafka la notte prima di scrivere ebbe gli incubi, non arriva a dire “a forma di scarafaggio”. Il lettore lo capisce da solo, mette i libri in salotto e si convince che tra letteratura e vita c’è appena un rimbalzo.

     

Ovvio che così i conti tornano, come neanche Sainte-Beuve avrebbe osato sperare. Era costui un critico ottocentesco, convinto che la vita dell’autore avesse grande importanza per giudicare l’opera, Marcel Proust scrisse un saggetto per sostenere la tesi opposta (e più matura): “Sciocchezze, le opere devono stare in piedi da sole”. Niente da fare: anche Proust è stato sottoposto alla cura Citati.

   

Noi stiamo con Proust, e non useremo contro Citati la faccenda dei pomodori che non sono più buoni come una volta (Elogio del pomodoro, già caduto sotto la mannaia di Antonio Pascale), e neppure i ripetuti passaggi da Repubblica al Corriere della sera e ritorno. Bene perché trattava sul prezzo, male perché certe recensioni sembrava proprio di averle già lette. Colpa più grave, Pietro Citati era capace di raccontare un romanzo per filo e per segno, colpi di scena inclusi, aggiungere poche righe, e la firma. Con sprezzo dei lettori che si stavano godendo la trama. Ricordiamo invece con piacere Storia prima felice poi dolentissima e funesta, protagonisti i suoi bisnonni innamorati.  

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