La fabbrica mondo tra tecnica, arte e letteratura

Andrea Venanzoni

Un’altra Spoon River: nel libro di Eligio Imarisio ritroviamo l’umanesimo industriale tra Otto e Novecento, raccontati con uno stile pastoso e arguto

In un noto passo di Massa e potere, Elias Canetti scrive sulla “fede nella produzione, il moderno furore dell’accrescimento”. Le rivoluzioni industriali, nel loro continuo rivolgimento, hanno rimodellato il panorama interiore delle civiltà producendo un senso profondo e malinconico di languore in una umanità, spesso, piuttosto confusa; e già Karl Marx nel Capitale sottolineava come nella fabbrica, a differenza dell’artigianato, un meccanismo morto governi le azioni degli operai che ne divengono quindi mera estensione.

La vis espansiva del moto industriale ha rischiato, per molti anni, di mettere in ombra un dato ineliminabile: il fattore umano.  Ed è per questo prezioso poter parlare di un autentico umanesimo industriale, partendo dal volume L’umanesimo industriale nell’Italia d’Otto-Novecento di Eligio Imarisio, un progetto di purissima narrazione storico-culturale originante dalla collaborazione tra la Fondazione Ansaldo e la casa editrice Erga edizioni. Il volume consta di 1.178 pagine, una torrenziale Spoon River di un mondo assai poco investigato fuori dal ristretto perimetro degli studi di settore. 

L’opera di Imarisio si contraddistingue per una assoluta interdisciplinarietà: la mescolanza sapiente di distinti registri stilistici e di discipline arricchisce di senso la ricostruzione di un piano storico-concettuale che sembrerebbe oggi quasi recessivo a fronte della perdita di centralità delle fabbriche. Rileva il direttore della Fondazione Ansaldo Lorenzo Fiori nella presentazione del volume come il progetto nasca dalla volontà di conservazione della memoria industriale e di investigazione, questa umanissima, delle esternalità positive e negative prodotte dai massivi processi di industrializzazione: le rivoluzioni industriali, la digitalizzazione, le interconnessioni funzionali e lo sviluppo di una società in rete hanno inciso nel profondo l’essere umano, producendo una significativa ontologia macchinizzata. Lezione utile e attuale anche nel contesto di un’economia sempre più digitale.

 

Distinto in due parti, la prima dedicata alla fabbrica nella società e nelle arti, la seconda alla dimensione urbana e urbanistica, riccamente corredato da fotografie e con quattro video visualizzabili a mezzo QR Code, il libro è un’opera-mondo, una autentica Recherche che fonde, con uno stile pastoso e arguto, i versi di Leopardi, di D’Annunzio, di Carducci, con il processo storico di nation-building che ha contraddistinto, faticosamente, l’Italia del tardo Ottocento e poi dei primi del Novecento, fin nel gorgo delle due guerre: passando in rassegna e scandagliando il ventre ctonio della modellazione della fabbrica, nel suo modo di intersecarsi con lo sviluppo della popolazione, tra amministrazione e modelli distinti di organizzazione, sociologia, analisi di Max Weber e origine dell’industrialismo, Imarisio non manca di tenere ben dritta la barra metodologica e soprattutto il senso profondo dell’opera. In cui centrale, oltre allo spettro inquieto della fabbrica, è pur sempre l’essere umano. Ed è così che la coscienza operaia si fonde ai “pittori di popolo”, architettura e fotografia di fabbrica al crepuscolo della idea storicizzata, e in fondo romantica, di fabbrica stessa. 

Vitale poi la parte sulla città, nella traiettoria sagittale che porta dalla dimensione puramente urbana a ciò che Koolhaas definisce la (non) città. Un estatico viaggio che rammenta quanto Walter Benjamin scriveva a proposito del perdersi in città come ci si perderebbe nel folto di una foresta, “una cosa tutta da imparare”.

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