Piergiorgio Bellocchio (Olycom) 

1931-2022

L'autobiografismo critico di Piergiorgio Bellocchio

Roberto Raja

Il suo genere d'elezione era il diario in pubblico delle lettere e della società, manifestato soprattutto sulle riviste. Il modello di Karl Kraus e un’autentica vocazione di moralista plasmati in una forma saggistica libera. Il ricordo di Matteo Marchesini

Piergiorgio Bellocchio non ha fatto in tempo a vedere pubblicata l’ultima raccolta dei suoi diari, che uscirà il mese prossimo per i tipi del Saggiatore. Giusto un anno fa sulle pagine del Foglio Matteo Marchesini, che l’ha frequentato con una certa costanza negli ultimi tempi, lo incoraggiava a vincere la resistenza a pubblicare, perché – scriveva – “nei quadernoni neri che per decenni ha allineato sugli scaffali del salotto c’è una lezione di cui abbiamo più che mai bisogno… Lavorando di forbici e colla, su quei quaderni Bellocchio ha accumulato un imponente archivio d’imbecillità e di orrori ritagliati dalla stampa, e li ha chiosati con stile krausiano.

In un dettaglio minimo (uno spot, un titolo, un refuso) Bellocchio sa cogliere un inquietante sintomo sociale o morale, e soprattutto sa commentarlo senza accenti predicatori, con un tono che al sarcasmo mescola una desolata pietà per sé e per gli altri, ma anche una curiosità mai spenta per il sapore acre dei faits divers”. Il modello di Karl Kraus e un’autentica vocazione di moralista plasmati in una forma saggistica molto libera, ribadisce oggi Marchesini: “La cifra di Bellocchio è stata una mescolanza di satira, aforismi e scorci narrativi e di costume, espressa con una scrittura sempre molto limpida. E aveva davvero la capacità di cogliere in un francobollo, in un avviso condominiale, in un particolare apparentemente insignificante, che cosa stava succedendo nella società italiana”. Quando il racconto e il saggio si sono fusi nella tecnica mista della maturità, ricorda ancora Marchesini, Bellocchio è riuscito a scrivere alcuni eccezionali racconti, “in particolare sulla trasformazione della vecchia borghesia gretta ma dignitosa dei suoi avi nella spudorata middle class di coloro che ‘vogliono tutto’”.

Se il diario in pubblico era il suo genere d’elezione, Bellocchio l’ha manifestato soprattutto nelle riviste, perché era “un autore da rivista novecentesca”. La prima, fondata, diretta e animata per più di vent’anni, oggi forse meno nota per ragioni anagrafiche, è stata i Quaderni piacentini, pubblicati dal 1962 all’84 insieme ai compagni di viaggio Grazia Cherchi e Goffredo Fofi. “La rivista più autorevole della nuova sinistra, della sinistra critica”, dice Marchesini. Chiusa quella, ha dato vita per una decina d’anni con Alfonso Berardinelli a Diario. E il passaggio dall’una all’altra segna anche il passaggio tra due diverse fasi intellettuali: dal marxismo critico a una sorta di autobiografismo critico, a “una critica a mani nude”, come la definisce Marchesini. I frutti di questo percorso si colgono in Dalla parte del torto, il saggio pubblicato nell’89, anche nella forte critica all’intellettualità di sinistra (la satira che colpisce Eco, l’attacco ad Asor Rosa) “perché vede che si è perso il meglio di quella storia, sono rimaste solo vedette intellettuali. E alcune sono state artificiosamente rese tali, come ci ricorda in un ritratto terrificante di Carl Schmitt. In questa fase – spiega Marchesini – Bellocchio è attratto da figure di forte individualità, ognuna forte di una propria eresia. Penso a George Orwell, a Louis-Ferdinand Céline, a Simone Weil o a Georges Bernanos. In mezzo alle tragedie del Novecento, per Bellocchio sono stati all’altezza di quell’engagement di cui si è tanto chiacchierato. Tutti e quattro hanno pagato le loro scelte di persona, andando incontro all’isolamento e al fallimento”.

Matteo Marchesini vuole ricordare infine altri due tratti particolari della personalità intellettuale di Bellocchio: il grande senso storico “che oggi non si vede in giro” e con cui ha vivificato “pagine molto belle, per esempio su Dickens o Kubrick – sì, anche sul cinema. Perché aveva fiuto nell’interpretare gli eventi storici: sapeva dove mettere le mani”. E poi, tornando un po’ alle origini, la curiosità e la passione per il progetto editoriale, tanto che “l’idea di una rivista, la sua definizione sembravano quasi prevalere nei suoi interessi sul momento della realizzazione”.

Piergiorgio Bellocchio è morto nella notte tra domenica e lunedì nella sua casa di Piacenza. Lo scorso dicembre aveva compiuto novant’anni.

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