(foto Wikipedia)

Musil aveva capito che “la stupidità supponente è la vera malattia della cultura”

Marco Archetti

La bellissima conferenza che lo scrittore austriaco tenne nel 1937. Che, a leggerla oggi, sembra concepita ieri

La stupidità, questa gigantessa. Questo leviatano. Questa creatura eterna, proteiforme e inafferrabile. Accendi la tv e ti aggredisce, ascolti la radio e ti schiaffeggia, accedi a Facebook e ti travolge. Non accendi nulla ma la senti lo stesso, se chiudi gli occhi ne cogli addirittura il fruscio – silenziosa e strisciante, percola e serpeggia dentro di te. La stupidità, come definirla? Con quali strumenti affrontarla? Conscio in anticipo dei nostri affanni, Robert Musil, a Vienna, nel 1937, tenne sull’argomento una bellissima conferenza che, a leggerla oggi, sembra concepita ieri. Fu la sua ultima apparizione pubblica prima della fuga in Svizzera e della morte in esilio, il testo integrale lo si trova in libreria sotto l’inequivoco titolo Sulla stupidità (SE editore, 80 pp., 12 euro). Cimento non indifferente, e già dopo le prime battute lo scrittore sembra tentato di deporre le armi. “Mi trovo in preda a una grande insicurezza” – dichiarò all’uditorio della Lega austriaca del Lavoro – “nella convinzione di dover sfidare una forza psicologica possente e straordinariamente contraddittoria. Preferisco, dunque, confessare subito il senso di inferiorità che provo nei confronti della stupidità: non so che cosa sia”. Scarsa, infatti, la letteratura in materia.

au“I saggi preferiscono parlare della saggezza”, e poi non era ancora venuto Carlo M. Cipolla con le sue leggi fondamentali a tentare di mettere ordine nel disordine che la stupidità genera. Cinquant’anni separano un testo dall’altro, ma dal punto di vista metodologico i procedimenti sono ancora più distanti: a Musil interessano i presupposti, a Cipolla le conclusioni. A noi qui interessa soprattutto Musil, non tanto per le singolari coincidenze che prendono corpo nel testo (a un certo punto si parla del “rispettabile professore di storia della letteratura che, abituato a prender di mira bersagli a distanze incommensurabili, sull’epoca presente cade in disastrosi errori”), quanto perché lo scrittore accetta subito l’indefinibilità della stupidità in nome di una consapevolezza micidiale: la stupidità non è stupida. La stupidità è, semmai, astuta. La stupidità è capace di travestirsi, ha la lingua sciolta e un guardaroba ben fornito. “Un qualcosa può essere stupido, ma non lo è necessariamente, poiché il significato cambia a seconda del contesto in cui si manifesta e la stupidità è strettamente intessuta con molti altri elementi senza che si possa trovare il filo che permetta, tirandolo, di disfare in un sol colpo il tessuto”.

Per questo la stupidità attuale è sempre più insidiosa, perché figlia di un mondo che “può mutare improvvisamente in tutte le direzioni” – la stupidità ha le sue varianti. Ne deduciamo: una società liquida dà luogo a una stupidità che le è conforme, subdola e filtrante. Definisce Musil, con preveggenza: certo, è la “stupidità intelligente”. Quella che non si rassegna, che argomenta e sembra parlar forbito. Quella “pericolosa per la vita stessa” perché apre uno squilibrio senza precedenti tra sentimento e ragione, tra scopi e strumenti. “La stupidità supponente è la vera malattia della cultura” – sempre Musil – “ma per evitare malintesi ci affrettiamo a precisare che essa significa non cultura, ma incultura, ossia cultura costruita su basi erronee. Ma dalla stupidità occasionale del singolo può nascere una stupidità costituzionale dei molti”. La conosciamo. La vivacità della sua gemmazione ci viene notificata con zelo dalla tv, e del resto non c’è pensiero importante che la stupidità non sia in grado di utilizzare, può addirittura indossare tutte le vesti della verità. “Ma la verità ha una veste sola ed è sempre in svantaggio”, ammonisce sconsolato Musil. Quindi ci consegna un piccolo manuale di istruzioni per riconoscere le caratteristiche della stupidità all’opera: “L’ingenuità. La sostituzione di concetti complessi con la semplice narrazione. L’importanza concentrata su elementi accessori”. Poi dice: combatterla in noi. Dice: non rassegnarci all’epidemia.

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