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Una nuova rivista senza eguali nel panorama accademico italiano

Sergio Belardinelli

Dove ci sono gli uomini regna la libertà, ma anche l’indisciplina. Per fortuna

E’ uscita in questi giorni una nuova rivista, che, almeno nelle intenzioni dei suoi ideatori, non ha eguali nel panorama accademico italiano: “Indiscipline. Rivista di scienze sociali”. Ad animarla un vasto gruppo di studiosi, riunitisi intorno a Paola Borgna, Stefano Cristante e Ambrogio Santambrogio, che hanno in comune la medesima passione per la libertà scientifica e una certa diffidenza nei confronti dei processi di valutazione, dei metodi di classificazione, dei confini disciplinari che in questi anni hanno irrigidito non poco le nostre riviste accademiche e la stessa ricerca nelle nostre università. 


“Indiscipline è una rivista di recensioni” si dice nell’incipit dell’editoriale di presentazione. Ma guai a pensare che si tratti per questo di una rivista senza pretese. Il suo scopo è infatti ambizioso, anzi, ambiziosissimo: riaffermare il “contributo che le scienze sociali possono dare all’interpretazione del nostro mondo” a partire da approcci disciplinari diversi e complementari, nella consapevolezza che proprio la recensione può essere uno “strumento formidabile di lavoro scientifico”. Un’importante apertura di credito, dunque, nei confronti della lettura seria e rigorosa, senza acredine, né piaggeria, nella speranza “di fare un buon lavoro, onesto, intelligente e anche un po’ provocatorio”. 


Messa con tanta semplicità, si capisce subito che proprio qui sta la vera provocazione di questa rivista. La recensione, di solito relegata nei ranghi più bassi delle pubblicazioni scientifiche, diventa il tramite privilegiato per un discorso culturalmente alto, dove la specializzazione viene coltivata e richiesta, non in quanto nicchia escludente ed esclusiva, ma in quanto apertura ad altre specializzazioni e quindi possibilità di accesso creativo alla complessità del reale in generale e della realtà sociale in particolare. Sociologi, filosofi, giuristi, economisti, antropologi vengono chiamati insomma a un confronto che esige certo competenza e rigore, ma anche una buona dose di “indisciplinarietà”. Altro che la famosa classificazione delle riviste da parte dell’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, la famosa Anvur, o la selva di raggruppamenti disciplinari, griglie, parole chiave, regolamenti e moduli dentro i quali stiamo ingabbiando la ricerca nelle nostre università


Oggi fare ricerca sembra che sia diventato soprattutto una questione di programmazione di risultati all’interno di un ambito disciplinare ben circoscritto. Ma tutto questo, specialmente nelle scienze sociali, ha un senso assai angusto. Dove ci sono gli uomini regnano la libertà, l’incertezza l’imprevisto e – perché no? – l’indisciplina, non le leggi che regolano i corpi fisici, così almeno spero. Ben venga dunque una rivista che tutto questo prova a dirlo sinteticamente già nel titolo: “Indiscipline” appunto. 


Il primo fascicolo monografico di questa rivista è dedicato a eguaglianza/disuguaglianza. Anche solo a scorrere i titoli dei libri recensiti si ha l’impressione che l’operazione culturale sia iniziata alla grande. Troviamo il libro di Michael Sandel sulla tirannia del merito, quello di Thomas Piketty su Capitale e ideologia, quello di Anthony Atkinson sulla disuguaglianza, quello di Massimo Cacciari su Weber, il manifesto sulla disuguaglianza di Luigi Ferrajoli, il capitalismo progressista di Joseph Stiglitz, tanto per citarne alcuni.  Oltre duecento pagine di recensioni alle quali francamente il lettore specialista italiano non è abituato, sia per il numero che per la qualità. Al primo sguardo si capisce subito che siamo di fronte a una rivista molto “liberal”, tanto liberal che ci si potrebbe persino domandare che cosa ci stia a fare uno come il sottoscritto, certamente più liberale che liberal. Eppure credo che il bello stia proprio qui. Ambrogio Santambrogio ha voluto davvero una rivista aperta, indisciplinata in tutti i sensi, oltre gli orizzonti angusti delle discipline accademiche e, a maggior ragione, oltre le appartenenze ideologiche dei collaboratori. Il risultato è che, leggendola, si respira una salutare aria di competenza, curiosità e complementarietà che certamente farà bene sia al lettore esperto di scienze sociali sia a quello semplicemente interessato

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