(Lapresse)

L'attuale poesia italiana è un bel caos se Magrelli viene accostato a Montale

Alfonso Berardinelli

Dalla porta della poesia contemporanea entrano tutti, in mancanza di critici onesti, si pubblicano raccolte di poesia e ci si inserisce nel gruppo - così nella confusione finiscono per apparire accanto a un gigante, anche solo per una questione alfabetica

Che ne è dell’attuale poesia italiana? L’oggetto respinge o lascia indifferente perfino la maggior parte dei docenti universitari di letteratura. Preferiscono non metterci le mani anzitutto perché ne temono l’invisibilità, la mancanza di confini. Se provano a fare un elenco di autori da prendere in considerazione, scoprono sempre che ne mancano altri dieci. Se poi si fidano dei manualetti critici, anche di quelli pubblicati da una casa editrice peraltro (cioè su altri temi) autorevole come il Mulino, si accorgono di avere fra le mani troppi autori nei quali c’è poco da leggere perché pochissimo avevano da dire.

 

Un chiaro sintomo della situazione sono le uscite settimanali di poeti, sotto il titolo “La grande poesia”, curate per Repubblica da Maurizio Cucchi, lui stesso poeta. Sembra che lo scopo, il più vero degli scopi, sia non la distinzione, ma la calcolata confusione dei valori. Si passa infatti dall’ovvietà, Baudelaire, Montale, Pasolini, Szymborska, all’estremamente opinabile. Quando si arriva all’attuale poesia italiana, ecco che prima arriva il volumetto dedicato a Patrizia Cavalli e subito dopo quello di Valerio Magrelli, collaboratore di Repubblica. Sul valore della prima non ho e credo che sia difficile avere dubbi. Il valore del secondo non so quale sia mai stato, mi sembra al di sotto del minimo accettabile: il suo accostamento ai maggiori poeti del passato fa l’effetto di un colpo di mano, di un brutto scherzo, di una truffa.

 

Si apre la porta e si fa entrare Montale, ma nascosto dietro di lui si fa entrare Magrelli come un suo pari o alla lontana paragonabile. Senza considerare che nella platea ci può essere qualcuno che nota l’imbroglio. E’ vero che in politica Enrico Letta non è Alcide De Gasperi, ma la politica è necessaria, non se ne può fare a meno, i vuoti sono pericolosi. In poesia, invece, se manca un poetino di magra sostanza nessuno ne sente la mancanza e anzi è un bene. Se la logica è fare dei favori ai presenti solo perché sono presenti, è chiaro che le pubblicazioni della “grande poesia” si concluderanno con le poesie dello stesso Cucchi, che ne è arbitro e curatore.

 

Ma il problema, oltre che qualitativo e di statura storica, è anche quantitativo. La qualità dei poeti di oggi ben pochi la capiscono (e sono più spesso lettori comuni che “addetti ai lavori”). Anche per questo, però, la quantità di autori di testi in cui si va continuamente a capo, riempie a tal punto la casa della poesia che respirarci è impossibile. Se si pubblica un Magrelli, se ne dovranno pubblicare altre decine. Il che significa che salterà la decenza proporzionale, poiché “La grande poesia” scritta da italiani viventi sarà doppia o tripla rispetto ai poeti internazionalmente noti dalla metà dell’Ottocento al Duemila.

 

Che ne è dunque dell’attuale poesia italiana? Direi: è un affollatissimo caos nel quale la critica (ammesso che sia critica) non è riuscita a distinguere i poeti che lo sono da quelli che non lo sono e che (per misteriose ragioni) vogliono esserlo o sembrarlo. Nel romanzo, dico per inciso, la situazione non è molto migliore, anche se scrivere un romanzo richiede un po’ più di artigianato e di fatica fisica. Ma l’editoria aiuta i narratori intensificando il lavoro di editing e soprattutto ci tiene a battezzare romanzieri i protagonisti dello sport, della politica, dello spettacolo, del giornalismo, della pop music. Come si è visto, perfino quando si tratta di Dante si preferisce che ne parli un incompetente che sia noto a un competente che il pubblico televisivo ignora.

 

 

Se poi il tema, per puro caso, è la poesia italiana contemporanea, non si sa cosa leggere e a chi chiedere (io naturalmente credo a me stesso, devo farlo: ma chi crede in me?). A chi abbia una qualche cognizione preliminare e necessaria consiglio di leggere i saggi di un poeta fra i più attualmente originali, Paolo Febbraro: sono nel volume La poesia allo stato critico (Inschibboleth, pp. 403, euro 28), come dire poesia allo stato solido e consapevole, non aeriforme e a “zero pensieri”. Senza un certo quoziente di autocoscienza critica, la poesia perde infatti bio-consistenza. Febbraro è un critico passionale, colto, raziocinante, dichiaratamente idiosincratico.

 

Di Magrelli scrive: “è come se avesse bisogno di scrivere e rappresentarsi graficamente, ma non ne avesse alcun motivo (...) E’ stupefacente che una simile confessione di vuoto millimetrato abbia potuto destare entusiasmi”. Forse non è stupefacente. I critici che si entusiasmano di Magrelli si sono specchiati, si specchiano nel suo non esserci. In effetti come critici non ci sono. 


Il volume raccoglie saggi sul Novecento poetico e il suo entroterra culturale. Contiene perfino un saggio su di me, e questo è il suo maggiore difetto. Mi ha aiutato a capire me stesso, una cosa il cui interesse pubblico è vicino a zero.