Postdemocrazia? No

David Allegranti

Il nuovo saggio di Colin Crouch per combattere i pessimisti nostalgici (populisti)

Diciassette anni dopo, il sociologo Colin Crouch torna sul luogo del delitto. Nel 2003 uscì uno dei suoi libri di maggior successo, Postdemocrazia (Laterza), nel quale si analizzava – con elementi predittivi notevoli – le difficoltà e le debolezze della nostra democrazia rappresentativa, alla prese con il trasferimento della legittimità della politica altrove, per vari motivi tra cui la globalizzazione economica, in un orizzonte post-democratico nel quale la sfera economico-finanziaria prevale su quella dei governi.

 

Nel 2020 Crouch è tornato in libreria con un nuovo saggio Combattere la postdemocrazia, pubblicato sempre da Laterza, in cui Crouch ammette di aver sottovalutato allora l’impatto del populismo xenofobo, nato in contrasto alle tendenze postdemocratiche, che prevedono un profondo scollamento fra élite e cittadinanza, ma di fatto corso in loro aiuto. Ciò a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, dice Crouch, è la politicizzazione del pessimismo nostalgico. E questa è la parte più interessante dell’impostazione del ragionamento del sociologo, già ai vertici dell’European University Institute di Fiesole.

 

“I movimenti xenofobi stanno diventando i principali interpreti non solo della paura e dell’odio nei confronti degli stranieri, ma anche di un più generale conservatorismo sociale, pessimista e nostalgico”. I partiti politici mainstream, osserva Crouch, “non hanno tempo per la nostalgia e ci sollecitano di continuo ad accettare il cambiamento, che chiamano progresso. I nuovi movimenti conservatori riempiono il vuoto che così si crea, raccogliendosi attorno alla visione di un’età dell’oro passata, non necessariamente storica – di un mondo che appartiene di diritto ai nostalgici e rischia di essere invaso”. Gli invasori identificati dai pessimisti nostalgici sono molti: i migranti, in senso letterale, ma anche le istituzioni internazionali, “che pretendono dagli stati-nazione che collaborino e cedano parte della loro sovranità anziché sottolineare con orgoglio la propria separatezza nazionale”. Sono invasori anche le nuove forze economiche, “accusate di distruggere le buone vecchie industrie e i relativi posti di lavoro”.

 

La nostalgia è dunque stata politicizzata, usata a fini elettorali (non solo utilizzata da Netflix per vendere ottime serie tv in cui gli anni Ottanta, ambientazioni e contesti culturali spadroneggiano; ma questo sarebbe materiale per un altro saggio). C’è sempre una presunta epoca nella quale le cose andavano meglio di adesso, anche se magari non è vero e se, come certe tradizioni, anche quell’epoca dell’oro è stata inventata di sana pianta. La nostalgia è uno dei carburanti dei movimenti populisti xenofobi, che “viaggiano” anche grazie all’ostilità al liberalismo. Il punto del ragionamento di Crouch è che questo pessimismo nostalgico, nato come ribellione alle tendenze postdemocratiche, finisce per alimentarle. Non le supera ma si rivela una “cura peggiore del male”. Anche perché “quando la nostalgia assume toni pessimistici e si politicizza, diventa aggressivamente possessiva; genera un risentimento che si indirizza contro dei presunti nemici, accusati di distruggere un modo di vivere che tutti ricordano felice”. Il rancore del pessimista ha “caratteristiche diverse dal rancore di chi si sente escluso, per colpa altrui, da una nuova vita ottimista che non ha mai vissuto: nel caso del pessimista, quel rancore è necessariamente difensivo, selettivo, potenzialmente incline alla negazione della vita, e dunque alla manifestazione violenta”. Ed è un curioso paradosso dei nostri tempi “che – sebbene in occidente i musulmani siano tra i principali bersagli di questo clima politico, e sebbene gli attentati terroristici di matrice islamista siano stati probabilmente la principale singola causa dell’avvicinamento di molte persone all’alt right – l’islamismo radicale sia, a sua volta, la forma più estrema del pessimismo nostalgico”.

 

Spesso si tende a pensare che i movimenti populisti (di destra nello specifico) affondino la loro ragione d’essere tra i ceti più poveri o emarginati. In realtà, osserva Crouch, “anche se il populismo raccoglie senz’altro consensi presso questi gruppi sociali, la sensazione di essere ‘lasciati indietro’ spesso coincide con l’esperienza di chi ha perso alcuni dei privilegi di cui un tempo godeva, oppure lamenta di non avere determinati privilegi che pure gli spetterebbe”. Altri autori, come Christophe Guilluy, inventore del concetto di “Francia periferica” (applicabile anche agli Stati Uniti e all’Italia) parlano non a caso della marginalizzazione della classe media. Il pessimismo nostalgico, scrive Crouch, intercetta varie condizioni, “non solo le vittime di declino economico”.

 

Secondo Crouch non basta più gestire la postdemocrazia, va combattuta. E forse, viene da dire, è pure tardi. Se un tempo i progressisti si affidavano, speranzosi, alle meraviglie della società dell’informazione, adesso quei progressisti sono costretti a scoprire che, nell’epoca dei social media, gli strumenti di liberazione (Internet) possono essere sfruttati dai nostalgici per far breccia anche nella popolazione più avveduta.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.