Masbedo, Blind Mirrors, 2019

Vulcano a Milano

Michele Masneri

La Sicilia del Gattopardo, ma soprattutto quella della Panaria Film, nella nuova performance "Palermitana" dei Masbedo a Ica

Una vista dell’Etna che sembra helivision ma è una macchina da presa legata a una mongolfiera; un viaggio nella Noto non ancora gentrificata e ferragnizzata; escursioni subacquee tipo Giulio Verne; pugilatori neorealisti; e danze Tamil dentro palazzo Gangi, naturalmente a Palermo.

 

La Sicilia è protagonista nella mostra aperta ieri a Ica, Istituto contemporaneo per le arti, fondazione privata non profit collocata in un edificio razionalista-sgarrupato con mobili Bbpr-Olivetti (era un deposito di bombole del gas) nell’area dello Scalo di Porta Romana ormai imprescindibile (Fondazione Prada, Talent Garden, ecc.). La mostra si chiama “Perché le frontiere cambiano”, lavoro filmico-archivistico realizzato da Masbedo, il duo formato da Nicolò Massazza (1973) e Iacopo Bedogni (1970), già protagonisti di Manifesta a Palermo. Ci hanno preso gusto, evidentemente, e queste “Frontiere” sono un omaggio alla Sicilia più immaginifica e strampalata con qualche legame all’attualità. Tutto passa da un camioncino Om che tipo Uomo delle stelle funge da palchetto e schermo, e percorre Palermo tipo camper di Stranamore ospitando, tra l’altro, Vittoria Alliata (la mitologica Vicky Alliata traduttrice di Tolkien) che racconta la storia della Panaria Film. Curata da Alberto Salvadori, la mostra ha proprio al centro una serie di filmati rinvenuti negli archivi di questa leggendaria casa di produzione messa su da uno sgangherato gruppo di aristocratici palermitani, capeggiati da Francesco Alliata, suo padre, morto nel 2015. “Siamo stati alla villa di Vittoria Alliata, che ci ha mostrato gli archivi della Panaria Film”, raccontano al Foglio i Masbedo, e la villa è naturalmente quella di Bagheria narrata dalla cugina Dacia Maraini. “Una storia completamente romantica: erano sognatori che invece di realizzare film da botteghino hanno investito tutte le loro risorse per fare esperimenti cinematografici, come quelli sul cinema subacqueo, che hanno realizzato costruendo manualmente gli scafandri che potessero proteggere le macchine da presa”. I ragazzi della Panaria giravano il mondo a filmare, con una ventina d’anni d’anticipo su Pasolini, la realtà”, dice il duo artistico, e in effetti la scena delle due pugilatrici qua in mostra in un bianco e nero scarno pare “Accattone”, ma appunto fu girata negli anni Quaranta (a Vienna). I ragazzi della Panaria (oltre ad Alliata, il cugino Quintino di Napoli e gli amici Giovanni Mazza , Pietro Moncada di Paternò, Renzino Avanzo e appunto Fosco Maraini, papà di Dacia) decisero di realizzare una serie di cortometraggi subacquei in 35 mm nelle isole Eolie, primi nel loro genere a livello mondiale con vecchie attrezzature reperite negli Stati Uniti e rese impermeabili; una quindicina di documentari poi leggendari, calandosi tra tonnare e anfratti.

 

Vicky Alliata, dal furgoncino, racconta anche il making of di “Vulcano”, il film eolico storicamente rivale di “Stromboli”, che rappresentò il primo lungometraggio di fiction della Panaria (l’altro fu “La carrozza d’oro” di Jean Renoir). Sempre con Anna Magnani: come è noto, l’attrice romana fu abbandonata da Roberto Rossellini a seguito della fatale lettera di Ingrid Bergman – “Caro signor Rossellini, ho visto i suoi film, ‘Roma città aperta’ e ‘Paisà’, e mi sono piaciuti molto. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, che non si fa quasi capire in francese e che in italiano sa dire solo ‘ti amo’, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei”. Così la mittente finisce dritta dritta in “Stromboli” mentre la Magnani, oltre a tirargli addosso gran piatti di bucatini, si butta su una produzione parallela e vendicativa a chilometri zero. “Le Eolie”, racconta Vicky Alliata, “erano allora un luogo impervio, assolutamente femminile – gli uomini erano tutti emigrati, in Australia o America”, e le donne comandavano ed estraevano la pomice, come si vede nei filmati girati a Lipari (dove si sarà aggirato Malaparte: oltre a queste femmine, le isole non ancora cool per le Malvasie e i dammusi milanesi avevano ospitato infatti esclusivamente personaggi sgraditi al fascio, mandati al confino). “Vulcano”, di William Dieterle, fu la botta finale per il destino e le finanze della Panaria. Il film, considerato progressista per le scene proletarie e per quel regista che aveva aiutato molti a fuggire dalla Germania nazista (compreso l’amico Bertolt Brecht), fu osteggiato dagli americani, in piena psicosi maccartista, che vedevano oltretutto di cattivo occhio quel gruppo di aristofreak in realtà del tutto apolitici (ma l’Italia era allora rilevante, sospesa tra occidente e comunismo, a ridosso delle elezioni fatali del ’48). Dunque fu boicottato, a scapito del cattocomunista “Stromboli terra di Dio”, affinato in Dc, con quel finale assai poco comprensibile se non con gli occhi della geopolitica.

 

A celebrare Palermo, i Masbedo utilizzano pure un tributo a Vittorio De Seta, alcune scene del meraviglioso doc “La Sicilia del Gattopardo” di Ugo Gregoretti, una sequenza tratta da “Salvatore Giuliano” di Francesco Rosi. E poi, per non farsi mancare niente, collocano un sindaco Leoluca Orlando a fare un comizio sul camioncino in uno stadio deserto; e alcune giovinette Tamil a danzare nel salone del Gattopardo (palazzo Gangi). Dove gli specchi, raccontano, sono ancora carbonizzati dalle luci al tungsteno che Visconti pretendeva: per far brillare meglio l’azione.

Di più su questi argomenti: