Serban Savu, "The city is being built and flourishes", olio su tela, 2017

Goodbye Ceausescu

Michele Masneri

Nuovi spazi a Roma per “La Fondazione” a via Crispi. In calendario omaggi a Cy Twombly, e una mostra sul rinascimento post comunista

Al centro, un ring su cui si spostano rumorosamente piccoli parallelepipedi-kart dotati di ruote invisibili a trasportare piccole chiese aerodinamiche in cera che si scontrano anche con grande frastuono.

 

Autoscontro da luna park, è l’opera “Untitled 2017” di Ciprian Muresan che celebra le chiese che Ceausescu il terribile fece spostare o abbattere per costruire il suo celebre palazzo-ecomostro del Popolo. Dello stesso artista, banchi da scuola o chiesa che immettono in una specie di cappella votiva per celebrare-salutare il socialismo reale, con una piccola raffigurazione della tomba di Stalin in fondo di Adrien Ghenie e un altare con polittico di Serban Savu con scene campestri da un comunismo un po’ sognante e surreale. E ancora, grandi dipinti di atelier-fabbriche con madonne industriali sullo sfondo. “Caduto Ceausescu si ebbe un grande ritorno di religiosità, si costruirono molte chiese”, spiega al Foglio il curatore Pier Paolo Pancotto.

 

E’ la mostra, che apre oggi, di quattro artisti rumeni, i tre quarantenni Adrian Ghenie, Ciprian Muresan, Serban Savu, insieme a Geta Bratescu, loro maggiore scomparsa lo scorso anno. Una specie di celebrazione, e tenero addio a un pop-comunismo trasognato, messa in scena nei nuovi spazi di “La Fondazione”, in via Crispi, nello stesso palazzo che ospita Gagosian. La Fondazione, nell’ovale dell’ex cinema-teatro Florida già immortalato in “Ladri di biciclette”, nel distretto un tempo dei tabarin e del Salone Margherita, è uno spazio molto industriale e “cool” e nasce con l’obiettivo di “dare la possibilità ai giovani di vedere cosa succede al di fuori dell’Italia”, dice al Foglio il presidente Nicola Del Roscio. “Così nel programma di quest’anno ci saranno una settimana dedicata ai film sugli artisti, una dedicata alla ricerca scientifica, e una all’opera di Cy Twombly, con un’esposizione di tutti i cataloghi editi internazionalmente sulla sua opera. La Fondazione vuole infatti rendere omaggio anche alla memoria e all’opera di Twombly”, dice Del Roscio, che è anche presidente della Twombly Foundation. “Ricordandone il profondo legame con Roma, città in cui aveva scelto di spendere buona parte del proprio tempo, considerandola una sorta di patria elettiva”. Così in ottobre ci sarà la proiezione del film “Cy Dear”, scritto e diretto da Andrea Bettinelli. Ma intanto ecco questi eleganti rumeni alla “Goodbye Ceausescu” già pluriesposti internazionalmente ma poco visti in Italia (a parte la recente mostra di Ghenie alla Fondazione Cini): fino all’11 gennaio.

 

Salendo le scale, invece, forme più inquietanti da Gagosian per mano della pachistana Huma Bhabha che mette in scena “The company”, compagnia di mostri di varie grandezze e materiali, secondo l’artista ispirate dal racconto “La lotteria di Babilonia” di Borges (in caso di crisi, sempre rivolgersi a Borges). Una lotteria di personaggi che decidono i destini umani. Tipo stanza dei bottoni, però mostrificata: dunque manone, piedoni, scheletri, tra cui mostruosi pupazzi da Mad Max o da un recente Burning Man, ossi per cani e sedie arrugginite provenienti da Karachi, città natale dell’artista (ma che avrebbero potuto benissimo esser prese da cassonetti locali a km zero, per un’opera ancora più site specific).

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