Il Cenacolo Vinciano (foto LaPresse)

Se oggi trovate chiuso il Cenacolo non date la colpa alla malasorte

Maurizio Crippa

E' colpa dei sindacati e del governo che butta i soldi ma non assume

Non sempre la scampagnata del Primo maggio fa rima con la bellezza dell’arte. Se oggi, ciondolando verso San Giovanni in attesa del Concertone, vi pungesse vaghezza, a voi o a migliaia di turisti stranieri, di infilarvi dentro al Colosseo, lo trovereste aperto: hic sunt leones, ma gloria della Festa dei lavoratori. Però trovereste chiuso il Maxxi o l’Ara Pacis, per dire. Certo, va detto che la faccenda delle chiusure festive dei musei va migliorando, anno per anno (il Colosseo, da calendario ufficiale, sarebbe chiuso), e una bella spinta l’hanno data proprio i precedenti governi, tanto spesso accusati di voler fare business con il patrimonio culturale, perché il regime di (parziale) autonomia e una migliore consapevolezza aiuta a tenere aperti gli Uffizi, l’Accademia a Venezia, o a Napoli Capodimonte, però Palazzo Reale è chiuso. E anche a Milano, nonostante il proverbiale efficientismo, troverete chiusa oggi la Pinacoteca di Brera, ma anche il Cenacolo. Più difficili ancora si fanno le cose se si passa alla dimensione dei musei di gestione locale: a Roma sono chiusi gli splendidi Capitolini, a Catania i siti gestiti dalla Città Metropolitana hanno chiuso a Pasqua, Pasquetta e Primo maggio. Cose che non succedono, ovvio, là dove le proprietà sono private – le Gallerie d’Italia di Banca Intesa, o Fondazione Prada, per fare due esempi.

 

Invece di imprecare contro il nullafacentismo delle pubbliche maestranze, dovreste però farvi qualche domanda. Scoprireste che mentre una parte del paese (che ahinoi è al governo) si riempie la bocca di paroloni sulla tutela del “bene pubblico”, c’è un sistema statal-sindacale che congiura a tenerli chiusi, e inefficienti, i musei. Il sistema caro alla sinistra benecomunista e ai sindacati che lamentano la sparizione del lavoro ma di lavorare meglio, e diversamente, nemmeno a parlarne. Prendete Brera, Milano. Oggi è chiusa perché esiste un obbligo di legge nel pubblico impiego secondo cui il personale di vigilanza del Mibact non può superare una certa quota-ore di lavoro nei giorni festivi. E la quota, per il primo periodo 2019, è già stata superata con scelte di apertura in altre festività. Poteva scegliere se chiudere oggi o il 25 aprile: ma doveva farlo. E’ un problema che riguarda tutti: gli Uffizi o il Museo egizio a Torino, dal contratto non si scappa. Si potrebbe ovviare, certamente, con l’assunzione di maggiore personale. Ma qui la discrasia tra la retorica statalista dell’attuale maggioranza e la realtà si fa stridente. Basta considerare che molti musei e soprintendenze sono in costante carenza di organico, che spesso determina la necessità di riduzione oraria. L’estate scorsa il ministro Alberto Bonisoli parlò di un piano piano straordinario da 6.000 assunzioni. Questa primavera, più prudentemente, ha annunciato 3.600 ingressi: però spalmati in tre anni e a partire dal 2020, perché i soldi il suo governo ha preferito metterli sul reddito di cittadinanza.

 

Invece restano immutate le rigidità, ad esempio nel passaggio di funzioni o di grado, per una concorsistica inadeguata e, ancor di più, per un peso decisionale e di indirizzo esercitato dalle sigle sindacali ben maggiore di quello degli stessi direttori e soprintendenti. Ma basterebbe riflettere sul fatto che ai musei pubblici non è consentito ingaggiare personale aggiuntivo. Per restare al caso di Brera, l’iniziativa (e per qualcuno fu scandalo) delle “notti” aperte fino alle 22 fu possibile grazie al mecenatismo di fondazioni e associazioni milanesi che coprirono “da sostenitori” i costi straordinari. Ma questa idea è vista da molti come una minaccia contrattuale. Per non parlare di altre idee lunari del mondo pentastellato, tra le ultime quella del nuovo commissario Inps, Pasquale Tridico, che s’è detto favorevole a una sorta di “reddito di cittadinanza” biennale da 400 euro al mese per gli studenti laureati in materie affini ai beni culturali. Assumerli e farli lavorare, invece? In Italia è più facile farsi ridare la Gioconda, che spostare un usciere dal suo posto.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"