L'opera di Banksy “Girl with Balloon” nella sua versione triturata durante un'asta di Sotheby's lo scorso ottobre (foto LaPresse)

Gli audaci e calcolati colpi del solito Banksy

Francesco Stocchi

Un narcisista che dà forma sui muri alla sua invisibilità esibita. Ed è reso simpatico dalla cifra dell'illegalità e dalla presunta critica delle élite. Ritratto dell'artista di strada che, forse, ha beffato anche Sotheby's 

“Ma la cosa eccezionale, dammi retta, è essere normale…”. Banksy non deve avere prestato grande attenzione ai consigli di Lucio Dalla. Il talento non contaminato dalle “grandi imprese” ma iscritto nell’ordinario al punto che perfino nel modo in cui si sta a casa, solo, in mutande conta per rivelarci uomo. La capacità, se c’è, bisogna essere in grado di individuarla per poi coltivarla. Si esprime poi prendendo forma di un destino che accompagniamo per mano, senza bisogno di troppi artifici. Senza ricorrere alla spettacolarizzazione di chi ama esibire il costume di Robin Hood celebrando il pensiero unico. Pratiche simili sanno tanto di fumo negli occhi e si rischia di non capire più dove finisce il tanto ostentato impegno sociale e dove inizia la commedia. Peccato perché se non si fosse ridotto a essere così dipendente dal sensazionalismo, Banksy si sarebbe reso la vita molto più semplice, libera da angosce dettate dalla paura di scomparire dal palcoscenico che si è creato con tanta pazienza e amore proprio.

 

Non c’è giorno in cui Banksy non sia presente nelle notizie attraverso un miscuglio seducente di cronaca, arte, spettacolo, politica e generiche questioni umanitarie. Nel dubbio abbraccia tutto per non lasciare scontento nessuno, soddisfacendo il proprio pubblico sempre più vasto e eterogeneo, rassicurandolo con la retorica dei buoni sentimenti e dissipando ogni ambiguità tra bene e male, giusto e sbagliato. Ricorda qualcosa e qualcuno, e stai a vedere che anche Banksy

Non c’è giorno in cui l’artista non sia presente nelle notizie attraverso un miscuglio seducente di cronaca, arte, spettacolo, politica

ha contribuito ai sentimenti populisti che dalle gradinate si sono fatti regime. L’ultima notizia che l’ultima non è più rimasta alla fine di questo articolo, mi ha portato bruscamente da un placido disinteresse verso il mondo banksiano e i suoi derivati, a un noioso fastidio. Non tanto nei confronti dei suoi eccessi o smanie di onnipresenza, ma dell’amore verso il paradosso obbligato, l’inversione di significato come senso di giustizia. Il titolo di Artnet recitava più o meno così “Il fabbro inglese ha bisogno di aiuto per proteggere il regalo fatto da Banksy alla cittadina gallese”. Quindi, se intorno a Natale, Banksy dipinge su un muro di un garage, questo è un regalo alla comunità e non un atto vandalico. La celebrità delle sue gesta è divenuta tale che gestire il pubblico accorso al sito è un onere del quale ci si lamenta. Il proprietario chiede aiuto perché, dato il valore attribuito all’opera di Banksy, il murales è a rischio di furto, e costringe così il destinatario del regalo a investire in misure di sicurezza, in gestione del traffico e forse anche in ansiolitici.

 

 

C’è un lato sinistro che incombe sulla apparente spensieratezza nella morale banksiana. Siamo in un mondo marcio

Port Talbot è una cittadina industriale del sud del Galles, una tra le più inquinate del Regno Unito per la presenza di una grande acciaieria. Per chiudere il cerchio, il murales è stato eseguito esattamente nella proprietà di un operaio del settore dell’acciaio, scelto a simboleggiare la vittima del padrone che però viene premiata da Robin Hood. Nel melenso marchio di fabbrica Banksy, il lavoro si sviluppa intorno alla retorica politico-sociale: in questo caso vediamo raffigurato un bambino in abiti invernali che sporge la lingua per afferrare fiocchi di neve in libera caduta. A un’ispezione più accorta (la vera arte ha bisogno di tempo per svelarsi…), i fiocchi risultano essere cenere proveniente da un fuoco di cassonetto raffigurato sulla parete adiacente. Il povero bambino entusiasta, si abbandona alla poesia della natura ma in realtà si sta inconsapevolmente intossicando. C’è sempre un lato sinistro che incombe sull’apparente spensieratezza nella morale banksiana. Siamo in un mondo marcio. L’innocenza, nell’accezione più pura e condivisa, viene corrotta e avvelenata ad inganno dall’industria, dal profitto dei pochi a scapito dei tanti. Ci troviamo in un mondo di favole per adulti. Si è creata quindi una circostanza dove c’è un condensato di tutta l’epica banksiana, cronaca, politica, arte, morale, manca solo lo spettacolo. Eccolo: l’attore Michael Sheen (Tony Blair in The Queen), cresciuto proprio a Port Talbot, ha aiutato Ian Lewis, l’operaio felice ma stressato neo-proprietario del Banksy, a pagare per la sicurezza durante la pausa natalizia, dichiarando alla Bbc: “Al momento, la mia più grande preoccupazione è per Ian. E’ stata una cosa davvero stressante per lui, e ha impiegato molte risorse finanziarie dato che nessun altro al momento lo sta aiutando”.

 

La mia impressione è quella di trovarci in una commedia di Ionesco. Ma questo è solo l’inizio. Da Ionesco, passiamo a Beckett: nei giorni successivi, le notizie si sono susseguite a ritmo frenetico, incalzandosi ripetutamente. Titoloni: “Il proprietario gallese del garage vende il suo regalo di Natale da Banksy per vari milioni” – “Il compratore di Banksy progetta di costruire un centro di arte urbana in Galles” – “La città di Port Talbot potrebbe diventare una destinazione per i fan del lavoro di Banksy”. Si costruirà intorno all’acquisto del murales un centro d’arte turistica, alla fine il cerchio si chiude e tutto torna al suo posto. Ciò che sembra, o vorrebbe sembrare un gesto di rottura e critica sociale, diviene in un attimo occasione di ingente business. Banksy offre opportunità di investimento a chi è oggetto delle sue critiche. Primo paradosso banksiano. Ma la responsabilità è di Banksy o della cecità del pubblico che si vizia con buoni sentimenti? Primo (e unico) dilemma banksiano.

 


 

 

 Un'immagine di Dismaland il “parco dei divertimenti” temporaneo creato da Banksy tra il 21 agosto e il 27 settembre 2015 a Weston-super-Mare nel Somerset, in Inghilterra (foto LaPresse)


   

Ciò che sembra, o vorrebbe sembrare un gesto di rottura e critica sociale, diviene in un attimo occasione di ingente business

Banksy piace ai bambini, è personaggio da Corriere dei Piccoli, somiglia a Zorrykid, nel modo in cui incarna la parodia dell’artista travestito da supereroe. Banksy piace anche ai giovani quanto agli adulti tendenzialmente rabbiosi, stanchi dei soprusi che devono passivamente subire (la ricchezza non egualmente distribuita, il governo ladro, l’1 per cento di colpevoli di tutte le nefandezze, il riscaldamento globale…), una sorta di Gianroberto Casaleggio che si nasconde sotto l’ombra del cappello. Ma soprattutto Banksy piace all’intellighenzia neo borghese offrendole un servizio sociale unico. Per gli amanti dell’arte è un po’ Damien Hirst, Ai WeiWei e Maurizio Cattelan ma con la cifra d’illegalità e (presunta) critica delle élite che lo rende più vicino, simpatico e immedesimabile. Il melodramma di Banksy arreda le vite dei suoi collezionisti con dosi di apparente radicalità, audacia e calcolato brivido del rischio. E’ tutto ciò che Banksy rappresenta, e permette loro di offrire un’immagine più seducente e invidiabile delle loro vite. Il nostro Zorrykid si presta volentieri indossando il mantello del dono dell’ubiquità favorito dall’anonimato. Sembra che il musicista Goldie si sia tradito rivelando il nome del nostro, ma non si vuole credere e sapere, Banksy deve rimanere anonimo. Rivelare la sua identità farebbe crollare l’immaginario ideale a uso e consumo di chiunque. Uno smodato culto della personalità distillata in un marchio, riflesso nella logica di followers e selfie, volano degli istinti materialisti del nostro tempo. In una recente intervista, Giulio Paolini, forse il maggior artista italiano vivente, parla della sua arte come “una forma di resistenza al predominio dell’Io”. Interrogato da Antonio Gnoli rispetto a Banksy, Paolini lo definisce “personaggio della ribalta sociale. Un geniale agitatore”. Fa della sua vita il piedistallo della sua arte rendendola cronaca del suo Io. Ecco il trionfo del parziale sotto forma di messaggio universale, offrendo l’illusione di cambiare le cose in un onnipotenza mascherata dalla voce di tutti.

  

Rivoluzionario e moralista. Un cattivo ragazzo sempre in bilico tra illegale
e politicamente corretto, tra underground e cultura dello spettacolo 

Ma da dove viene Banksy e soprattutto che radici ha questo narcisista ego-riferito che dà forma alla sua invisibilità esibita?

Alla fine degli anni Ottanta, il Banksy adolescente si aggira per Bristol facendosi chiamare Robin Banks, il Robin Hood dei tempi moderni che rapina le banche. Siamo in un momento in cui Michel Basquiat e Keith Harring portano con successo la strada in galleria, fare graffiti è divenuto di moda e la situazione inizia presto a sfuggire di mano. Arriva così il giorno dell’operazione Andersen, la polizia inglese arresta una settantina di graffitari (ancora non ci si sognava di chiamarsi “street artists”). Banksy sfugge all’arresto solo perché non compare in un diario ritrovato dalle autorità. Ancora non è conosciuto nell’ambiente e forse lì inizia a capire che essere ignoto possa portare molti frutti.

  


 

Un'opera di Banksy (foto LaPresse)


 

Ma ogni grande storia di eroi non può dirsi davvero epopea se non si può narrare il giorno in cui tutto cambiò, quel momento di ispirazione che demarca il prima dal dopo. E’ notte, Banksy viene sorpreso da un blitz della polizia, scappa, si nasconde sotto un camion. Riflette, aspetta tutta la notte e ha tempo per pensare. Capisce che deve essere più veloce se vuole farsi beffe delle autorità. Sotto il camion trova una scritta allo stencil che lo illumina. Da quel momento Banksy adotta la tecnica dello stencil, operando di fatto non per strada ma all’interno del suo studio, nella preparazione delle maschere sulle quali lui e il suo folto gruppo di collaboratori dipingono sui muri. Ogni eroe ha il suo maestro, e il nostro si ispira a colui che è considerato l’iniziatore dell’arte urbana, il francese “Blek le rat”. Lo stile è lo stesso, mentre poliziotti, soldati, vecchi, bambini sono i soggetti ricorrenti dell’immaginario banksiano, conditi dell’efficace retorica dell’antiretorica che fa sentire tutti più forti, più giusti, più solidali. Il ragazzo di Gaza che invece di lanciare pietre lancia fiori sul muro israelo-palestinese, la bambina che perquisisce il militare di frontiera, il bacio appassionato tra poliziotti inglesi, e così via.

 

In bilico tra underground e cultura dello spettacolo, tra illegale e politicamente corretto, tra rivoluzionario e moralista, Banksy inizia a sentire l’odore seducente della notorietà con un’operazione al mega-festival musicale di Glastonbury. Si affianca a Inky, capobanda della scena di Bristol che lo inserisce sempre più nel giro. Le sue azioni iniziano a essere riconosciute ma è osteggiato dai writer perché i veri uomini di strada non usano lo stencil, improvvisano, rischiano anche l’errore, non solo la galera. Con lo stencil è tutto preordinato, sicuro, già scritto. Se ne va quindi a Londra con la voglia di conquistare il mondo. L’epopea continua la sua fase ascendente. Si fa conoscere, sfrutta i contatti che è riuscito a costruirsi al di fuori dell’ambiente dei writer, frequentazioni esclusive al punto che Tom Wolfe lo avrebbe definito uno “street radical chic”.

 

 

 

Nel 2003 i Blur gli chiedono di realizzare la copertina del loro album Think Tank (foto sopra). Nonostante Banksy abbia sempre affermato di evitare il lavoro commerciale, accetta. Si deve quindi difendere dalle accuse di ipocrisia, motivando così la sua decisione di realizzare la copertina: “Ho fatto un paio di cose per pagare i conti, e ho fatto l’album dei Blur. Un buon disco e la commissione mi ha portato un bel po’ di soldi. Penso che sia una distinzione molto importante da fare. Se è qualcosa in cui credi davvero, fare qualcosa di commerciale non lo trasforma in merda solo perché è commerciale. Altrimenti devi essere un socialista che rifiuta del tutto il capitalismo, perché l’idea di poter sposare un prodotto di qualità anche se è capitalista è una contraddizione con la quale non si può convivere. Ma a volte la situazione è simbiotica, come nel caso dei Blur”. Banksy invoca quindi la simbiosi, qualità ineluttabile dei super-eroi. La copertina è venduta all’asta per 75.000 sterline. Le cronache di allora definiscono Banksy, “controverso” e “elusivo” i due aggettivi che lo hanno sempre accompagnato facendone la fortuna. Nello stesso anno compie la prima azione eclatante nella sua epica retorica: si traveste da anziano, entra alla Tate Britain di Londra, appende una sua tela in una sala del museo. Visti gli spazi immensi e vuoti (non siamo nelle mostre ma nella zona delle collezioni), ci vogliono ore prima che i guardiani se ne accorgano. Si parla di bravata contro le élite artistiche e la storia finisce lì, anche perché gesti di iconoclastia nelle istituzioni culturali ci sono sempre stati. Ci riprova al Moma di New York e ottiene le reazioni dei primi fans che lo definiscono geniale, dando voce a tutti quelli che entrano in un museo d’arte moderna e pensano “questo lo potrei fare anch’io”.

 

 

Il cattivo ragazzo di Bristol diventa richiesto proprio perché rappresenta il gusto del proibito, ma sempre “dall’alto”: George Michael gli commissiona per 2 milioni di dollari di affrescare la sua casa. Banksy inizia ad accumulare ricchezza tanto che decide di acquistare palazzi nelle zone degradate di Bristol, rappresentando quelli che tornano a casa in provincia una volta che ce l’hanno fatta. Al suo passaggio, dove acquista proprietà, le zone aumentano di valore. Nel 2010 viene addirittura candidato agli Oscar, e più si preoccupa di divulgare la sua anonimia, più la gente lo cerca, in un gioco di contrappassi che facilmente trova dimora in questa epoca di spettacolarizzazione dell’io. Secondo paradosso banksiano. Stessa logica, stesso messaggio: nel giugno 2018 offre un’opera a una mostra alla Royal Academy of Arts sotto lo pseudonimo Bryan S Gaakman (anagramma di “banksy anagram”). L’opera viene rifiutata. Un mese più tardi il noto artista Grayson Perry gli chiede di proporre un lavoro, Banksy invia la stessa rifiutata e ci fa sapere, compiaciuto, che ora è appesa nella galleria tre della Toyal Academy of Arts. Dimostrandoci, suo malgrado, che ciò che produce non ha valore alcuno, l’unica cosa che conta è il suo nome.

 

 

Infine, ottobre 2018: Girl with Balloon, un’opera particolarmente insulsa di Banksy, viene messa all’asta da Sotheby’s a Londra. Nel momento di assegnazione al compratore, viene dalla sala azionato un dispositivo che distrugge a metà la carta nella cornice. La pagliacciata della sfida del ribelle ai potenti del mercato funziona ma ciò che funziona ancora di più sono i guadagni.

“Girl With Balloon” triturata alla vendita d’asta. Quel che rimane è alla Staatsgalerie di Stoccarda, una caccia al tesoro per i visitatori

Cerchiamo di essere chiari. Girl with Balloon era un’opera d’arte terribile ben prima di essere triturata alla vendita d’asta. Il suo contenuto tematico era troppo ovvio, il profilo di una bambina che lascia volare nel cielo un palloncino a forma di cuore. Il lavoro è stato poi distrutto dopo essere stato assegnato a un mercante per 1 milione di sterline in una trovata pubblicitaria sensazionalista. Il mondo è impazzito. Sotheby’s ha insistito sul fatto di essere all’oscuro della cosa, ma chiunque abbia una conoscenza delle aste sa che nessuno specialista invia un’opera a quel prezzo senza prima esaminarne ogni centimetro. La triturazione stessa era un’altra allusione ovvia alla commercializzazione dell’arte che proprio il nostro invece rappresenta. In seguito alla prodezza, Banksy ha dichiarato sui social media che aveva intenzione di distruggere l’intero lavoro ma il trituratore ha funzionato male. Se solo avesse funzionato ci sarebbe stata un minimo di sincerità in tutta questa storia.

L’opera di Banksy, ora mezzo sminuzzata, da due giorni è esposta in prestito permanente alla Staatsgalerie di Stoccarda. Ma l’avversione alla “normalità” è tale che non basta esporre l’opera ma saranno i visitatori a dover cercare il lavoro che cambierà continuamente sala, una caccia al tesoro tra i capolavori dell’istituzione tedesca…

 

Intanto nel mondo proliferano le mostre su Banksy, a Milano, Mosca. Amsterdam ha addirittura il Moco, un finto museo di fatto dedicato a Banksy (una galleria privata che affitta un grande spazio nel Museumplein, la piazza dei grandi musei nazionali) in perenne dialogo con artisti quali Warhol, Lichtenstein, Dalí… Quando mi capita di passarci davanti trovo sempre la fila. Lo scorso dicembre, a Miami, durante la fiera d’arte, la società di eventi musicali Live Nation ha organizzato una mostra di Banksy sul modello di una tournée rock. Prezzo d’ingresso, 35,99 dollari, più di ogni museo al mondo che conosca. C’era la fila anche lì, ovviamente.

Come può un artista essere nocivo? Basta ignorarlo? No è lui che ti rincorre, supplica la tua attenzione per essere legittimato, e siamo solo ancora all’inizio. (Intanto, in una domenica di fine gennaio, un’immagine attribuita a Banksy, collocata sulla porta sul retro del Bataclan in omaggio alle vittime degli attentati del 13 novembre 2015 “è stata rubata” - foto sotto).

 

 

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