Il muro nella West Bank che separa la città di Qalquilya e Kfar Sava (Foto LaPresse)

È di nuovo tempo di muri. L'inedita storia della civiltà di Frye

Giulio Meotti

La Roma "pacifista" che aveva dimenticato la guerra, l'Atene delle donne di Aristofane, i bizantini e oggi Israele. Nessuno ha resistito senza alte difese e la cultura e la libertà hanno proliferato soltanto al loro interno

Quando le autorità tedesche, all’apice della crisi dei migranti, dissero ad Angela Merkel che il confine poteva essere rapidamente “sigillato”, la Cancelliera scosse la testa e promise di non “costruire alcun muro”. In un’intervista allo Spiegel, l’ex ministro degli Esteri Sigmar Gabriel ha appena descritto per la prima volta la reazione di Merkel. Lei e Gabriel si erano seduti ad ascoltare l’allora ministro dell’Interno Thomas de Maizière e il capo della Polizia federale, Dieter Romann, che stavano spiegando al governo i possibili controlli alle frontiere e “quanto velocemente tutto può essere isolato”. “Merkel mi ha detto, letteralmente: ‘Promettimi una cosa, Gabriel: non costruiremo alcun muro’”, ha rivelato il leader socialdemocratico allo Spiegel.

 

L’eventuale barriera tedesca sarebbe andata ad aggiungersi alle altre costruite e rafforzate negli anni successivi. La barriera spagnola alta quindici metri nelle enclave di Ceuta e Melilla, estremo lembo dell’Unione europea. Il famigerato muro dell’ungherese Orbán. Il confine sul Brennero che minaccia di chiudersi. Calais, la “giungla” al confine franco-britannico, solo per citarne alcuni. C’è tutto questo in “Walls” dello storico David Frye, docente di Storia medievale alla Eastern Connecticut State University. Ma ad aprire questa sua inedita storia della civiltà attraverso i muri, appena pubblicata da Simon and Schuster, è una costruzione misteriosa rinvenuta nel deserto della Siria. “Un antico muro, di almeno quattromila anni, abbandonato in una desolata regione del paese. A ovest, alcune città, molte distrutte dalle guerre, antiche e moderne. Alla sua estremità orientale, una terra desolata, una vasta steppa che diventa progressivamente più secca a mano a mano che si prosegue verso oriente, fino a quando finalmente finisce nel deserto. Il muro si estende per oltre cento miglia. Anche nel suo periodo di massimo splendore, non sarebbe stato particolarmente impressionante. E’ come se un re avesse ordinato la costruzione di un muro contro il deserto. Chi costruisce un muro contro la terra desolata?”.

 

All’apice della crisi dei migranti la cancelliera Merkel disse ai socialdemocratici: “Non costruiremo un nuovo muro”

Adesso siamo entrati nella “seconda èra delle mura” e pochi di noi se ne sono accorti, avverte Frye. “E’ successo tutto in fretta, ma ha attirato molto meno l’attenzione dall’occidente rispetto al Muro di Berlino. Se l’occidente aveva sonnecchiato per un giorno intero dopo che Berlino era stata chiusa nel 1961, esso si è ibernato durante il primo decennio della nuova èra, quando le nazioni non occidentali dall’Arabia Saudita alla Malesia hanno intrapreso progetti di costruzione di mura che hanno rapidamente superato gli sforzi congiunti di Romani, Persiani e Cinesi”. Le storie di Frye sono in gran parte familiari, dagli avamposti imperiali di Adriano alla Grande Muraglia cinese, costruita per proteggere quel regno isolazionista dalle orde. Già nel decimo millennio a. C., i costruttori di Gerico circondarono la loro città, la prima al mondo, con un bastione. Nel corso del tempo, l’urbanismo, la cultura e l’agricoltura si diffusero da Gerico e dal Levante in nuovi territori: Anatolia, Egitto, Mesopotamia, Balcani e oltre. E i muri seguirono sempre. Ovunque si fortificarono i villaggi.

“Nessuna invenzione nella storia ha avuto un ruolo più importante nel creare e plasmare la civiltà”, scrive Frye dei muri. “Senza muri, non ci sarebbe mai stato un Ovidio, e lo stesso può essere ha detto per gli studiosi cinesi, i matematici babilonesi o i filosofi greci. Inoltre, l’impatto dei muri non era limitato alle prime fasi della civiltà. La costruzione del muro si è protratta per gran parte della storia, culminando spettacolarmente durante un periodo di mille anni in cui tre grandi imperi eressero barriere che fecero le divisioni geopolitiche del Vecchio mondo. Il crollo di quelle mura avrebbe influenzato il mondo quasi profondamente come la loro creazione, portando all’eclissi di una civiltà, alla stagnazione di un’altra e all’ascesa di una terza. Civiltà e muri sembrano essere andati di pari passo”.

“Niente ha avuto un impatto sulle civiltà paragonabile a quello della costruzione dei muri”, scrive Frye nel suo libro “Walls”

E’ il caso dell’antica Grecia, che costruì le sue celebri “lunghe mura”. “Si estendevano per diverse miglia dal centro di Atene fino ai suoi porti marittimi sull’Egeo. Gli ateniesi dietro a quelle mura diventarono i più liberi sulla terra. Protetti nella loro città, discutevano di politica, di filosofia, frequentavano il teatro, sviluppavano la matematica e le scienze. Verso la metà del Quinto secolo, Atene era più fisicamente sicura di quanto non fosse mai stata. I filosofi si riversarono in città. Il teatro fiorì, insieme a scultura, matematica, architettura e pittura. Protetti da muri che isolarono simultaneamente la città dall’attacco pur mantenendo i suoi porti aperti, gli ateniesi hanno vissuto la guerra in un modo completamente nuovo. Anno dopo anno, anche con la città sotto assedio, i drammaturghi composero nuove opere. I filosofi incantarono i loro allievi e i rivali irritati”.

Il muro di confine tra Israele e Libano vicino alla città settentrionale di Rosh Anikra.


Il quadro più chiaro della società ateniese dietro ai muri nel Quinto secolo lo si trova nelle opere di Aristofane. “Nella sua opera più famosa sulle donne di Atene, queste sono ben vestite, usano cosmetici e profumi, e anche durante la guerra si lamentano che i loro mariti sono troppo spesso assenti. Aristofane fa satira su una popolazione assediata che non fa altro che discutere sulla politica, scommettere sulle corse dei cavalli o impegnarsi in speculazioni filosofiche”.

 

Il contrasto è evidente con Sparta. “Gli spartani ripudiarono quasi diecimila anni di tradizione urbana sulle mura. Vedevano il dormire in modo sicuro dietro ai muri come una dimostrazione di vigliaccheria. Così si imbarcarono in uno dei più straordinari esperimenti sociali della storia: il completo ripudio dei muri e, con essi di tutte le cose civilizzate. Gli spartani nel loro paese senza muri erano interamente dipendenti dagli schiavi. Le frontiere aperte di Sparta richiedevano che gli uomini rimanessero in costante preparazione militare. All’interno delle mura di Atene, nel frattempo, la schiavitù stava già svanendo. E la città ha prodotto i primi sentimenti abolizionisti nella storia del mondo”.

“Gli ateniesi dietro alle loro mura divennero le persone più libere della terra. All’opposto c’era Sparta, una società militarista”

 

Lo stesso accadde in Mesopotamia. “Uruk, la città di Gilgamesh, è stata definita dal suo ‘muro tutto accerchiato’, presumibilmente costruito dal grande re stesso. Almeno cinque re diversi fornirono muri per Babilonia e almeno quattro muri sono stati costruiti per Ur. Per i Mesopotamici, la costruzione era un sacro dovere”.

 

E i Romani? “L’oratore greco Publio Elio Aristide, poco dopo che Adriano aveva cinto l’intero impero romano di mura, accreditò Roma per un risultato piuttosto straordinario: l’impero, dichiarò, aveva posto fine alla guerra. Abituati solo alla pace, la maggior parte dei Romani era arrivata a dubitare che le guerre fossero mai realmente avvenute. I resoconti delle battaglie furono liquidati come fiabe. I civili non temevano più che potessero essere chiamati alle armi. L’intera popolazione dell’impero aveva rinunciato alle armi, affidando la sua sicurezza alle guarnigioni di stanza su frontiere lontane”. All’interno delle mura, l’impero era diventato una sorta di “paradiso civile”: l’intero abitato, scriveva Aristide, si era rivolto a piaceri di ogni tipo. “Palestre, fontane, templi monumentali, archi, artisti e scuole riempivano le città. La sicurezza assoluta, ‘universale e chiara a tutti’, prevalse”.

 

Frye ha assistito alla caduta del Muro di Berlino nel 1989 con grande eccitazione, racconta nel libro. “Per molti di noi sembrava l’inizio di una nuova èra, annunciata da una figura internazionale non meno imponente di David Hasselhoff, il cui concerto ha unito entrambe le metà di Berlino in un’estasi. Da allora è passato un quarto di secolo, e se una volta sembrava che i muri fossero diventati una cosa del passato, quella idea si è dimostrata gravemente sbagliata. I muri hanno subito una notevole rinascita nel XXI secolo. In tutto il mondo, circa settanta barriere di vario genere attualmente fanno da guardia ai confini. Alcuni esistono per prevenire il terrorismo, altri come ostacoli alla migrazione di massa o al flusso di droghe illegali. Quasi tutti segnano i confini nazionali”.

La presa di Costantinopoli in un affresco di Domenico Tintoretto nella Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale, Venezia


 

“All’interno delle loro mura e in pace da troppo tempo, i Romani pensarono che le guerre non fossero mai esistite”

Il modo in cui il Muro di Berlino è sorto ed è caduto, svanendo nel nulla, ha segnato la nostra percezione della necessità di un “mondo senza muri”. “In retrospettiva, la vita del Muro di Berlino sembra stranamente breve, un arco di tempo che non corrisponde a un monumento così completamente radicato nella nostra coscienza”, scrive Frye. “La nostra amnesia selettiva è imbarazzante. Una volta che il brusio iniziale si era placato, poteva sembrare che il Muro di Berlino avrebbe fatto la fine di Ozymandias (il re dei re della poesia di Percy Shelley). Il comunismo era collassato. Le due Germanie erano unite. La Russia aveva aperto una Borsa valori. Le Nazioni Unite erano ossessionate dai suoi nuovi giocattoli elettronici. La storia non era morta, solo dimenticata”.

 

Frye dedica un capitolo del libro a Giustiniano, che “eresse fortificazioni attraverso tutta l’Europa sud-orientale. Ricostruì le città che erano state distrutte, costruì nuove città murate in posizioni strategiche, stabilì nuovi forti lungo i fiumi e ha persino fortificato le cascine rurali. Al passo delle Termopili, Giustiniano eresse nuovi muri dove i trecento spartani avevano combattuto una volta i persiani. Fornì persino lunghe mura a una comunità di goti cristiani in Crimea. Ma alla fine le uniche mura che contarono furono quelle di Costantinopoli”.

 

“Il modo in cui cadde il Muro di Berlino, in una notte, come era stato tirato su, ci aveva illuso che non sarebbero più tornati” 

Frye gli dedica ampio spazio. Ai tempi di Costantino, tutto ciò che restava del vecchio impero erano alcune isole, alcune città greche sulla costa del Mar Nero, il devastato Peloponneso e Costantinopoli. Quasi tutti i magnifici edifici di Giustiniano, tranne la chiesa di Santa Sofia, erano andati in rovina. Solo le grandi mura di Teodosio, che erano state riparate dopo l’assedio del 1432, ricordavano il glorioso passato della città un tempo chiamata “Nuova Roma”.

 

“Dentro le sue mura millenarie, Costantinopoli aveva funzionato per ben settecento anni come centro di comando strategico in un grande scontro di civiltà. Durante i ‘secoli bui’, i Bizantini, insieme ai Franchi, erano stati una delle due sole potenze occidentali in grado di arrestare l’assalto dell’islam. I califfi e i sultani avevano fatto di Costantinopoli il loro obiettivo principale, guidando enormi eserciti alle porte della città, dove i muri li avrebbero sempre ostacolati, sventando i loro sogni di conquista profetizzati nella tradizione musulmana”.

 

Alla fine dell’estate del 1452, Mehmed portò il suo esercito sotto le mura di Costantinopoli, dove Costantino il Paleologo poteva solo guardare impotente mentre il sultano e i suoi ingegneri passarono tre giorni a studiare le fortificazioni. Ma quei muri erano davvero formidabili. “Se le mura di Costantinopoli incoraggiarono una mentalità da bunker, almeno hanno fatto il loro lavoro e, a volte, la posta in gioco era molto più grande della preservazione di un impero in fuga. Due volte, tra il 674 e il 718, gli eserciti arabi assediarono Costantinopoli, ed entrambe le volte la città resistette all’assalto. Il secondo dei due assedi, quando il califfato portò duecentomila truppe per sconfiggere la capitale cristiana, è ampiamente considerato come uno dei maggiori punti di svolta nella storia.

 

Da Gaza al Golan, passando per il Sinai e la Cisgiordania, lo stato ebraico ha tutti i confini sigillati a causa del terrorismo

L’impero, così com’era, ha sempre svolto un ruolo cruciale nell’organizzazione della difesa dell’occidente. Finché le mura di Costantinopoli resistettero, fermarono l’avanzata occidentale dell’islam e permisero alla civiltà occidentale di continuare a svilupparsi nelle sue radici cristiane e classiche”. Dopo la rottura delle mura, rimase solo l’orrore che i costantinopolitani avevano temuto dai giorni di Teodosio II: “Uccisioni, saccheggi, decine di migliaia di civili in schiavitù. Alcuni sopravvissuti si sparpagliarono per diffondere la storia. Alcuni scrissero poesie lugubri, lamentando la perdita di Costantinopoli, allo stesso modo in cui i Sumeri avevano lamentato la caduta di Ur. Un’Europa cattolica in qualche modo autoassorbita non aveva inviato l’aiuto disperatamente necessario per il quale i bizantini l’avevano a lungo implorata. Gli storici vedono la caduta di Costantinopoli il 29 maggio 1453 come una svolta nella storia del mondo. I turchi erano emersi come potenza mondiale. L’islam ha stabilito una presenza permanente in Europa”.

 

Due fattori, spiega Frye, oggi portano alla proliferazione di mura: “L’immigrazione di massa e l’ascesa del terrorismo islamico. Sono gli immediati scatenatori delle nuove mura, ed entrambi tendono a influenzare altri paesi prima raggiungere l’Europa o l’America”. Il medio oriente, sede delle prime muraglie al mondo, negli ultimi quindici anni è diventato un immenso cantiere per recinzioni e barriere.

 

“L’Arabia Saudita, in particolare, si è avvicinata come qualsiasi nazione dalla Babilonia di Nabucodonosor per realizzare il sogno di uno stato completamente chiuso”. I primi pezzi di muro al confine col Messico, voluti da Bill Clinton, vennero posati a terra solo quattro anni dopo la caduta del Muro di Berlino. A partire dal 2013, la Bulgaria ha ricostruito una recinzione lungo il confine di cento miglia con la Turchia. Il nuovo muro si trovava a nord di Edirne, l’antica Adrianopoli, la “città di Adriano”, così chiamata in onore del “più grande costruttore di mura del mondo occidentale”. Un anno dopo, la Turchia iniziò la costruzione di una barriera di cinquecento miglia, un muro di cemento alto un metro e mezzo con il filo spinato, che bloccò il confine con la Siria. Poi l’Ungheria ha costruito una recinzione elettrificata lungo il confine con la Serbia, l’Austria ha costruito una barriera al confine con la Slovenia, la Slovenia ha iniziato i lavori lungo il confine con la Croazia e la Macedonia ha aggiunto una seconda linea alla sua barriera preesistente che fronteggia la Grecia.

 

“Dietro alle sue mura, Costantinopoli per settecento anni divenne un baluardo della civiltà rispetto all’avanzata dell’islam”

“Nelle aree recintate dall’Ungheria, il numero di migranti è crollato da diecimila al giorno a meno di quaranta. Da una prospettiva globale, i muri avevano semplicemente spostato il peso”. Le rotte migratorie si sono evolute ancora una volta, mettendo ancora più in difficoltà l’Italia come principale punto di ingresso per gli immigrati che arrivano dall’Africa via mare. Nel 2016, l’Austria ha iniziato a lavorare su una barriera lungo il confine italiano. L’Italia, impossibilitata a murare le sue coste, ha iniziato a contemplare la chiusura dei suoi porti ai migranti.

 

Costruire muri è naturale, spiega Frye. “I biologi ci dicono che gli animali hanno solo due possibilità quando si sentono minacciati: combattere o andarsene. Lo storico suggerisce che le società umane hanno sviluppato altre opzioni. Alcune società hanno costruito mura. Nei capitoli precedenti, abbiamo visto che, negli ultimi quattromila anni, le lotte tra coloro che avevano costruito muri e coloro che li hanno aggrediti hanno spesso deciso quali stati hanno resistito e quali sono scomparsi. Quelle stesse lotte hanno influenzato la diffusione delle lingue e delle religioni. Potremmo imparare a lottare per la sopravvivenza, ma è molto più facile chiudere la porta, sdraiarsi sul divano e guardare la televisione in uno spazio che sappiamo fisicamente al sicuro. E così costruiamo muri, anche metaforici. Chi sono i muratori? Siamo noi i muratori. Siamo sempre stati noi”.

 

E poi c’è Israele, “un paese con meno del tre per cento della popolazione degli Stati Uniti ma che ha costruito barriere della metà della lunghezza di quella proposta da Trump col Messico”. Scrive Frye che “Israele si è chiuso nei suoi muri. La piccola nazione, a lungo assediata dai suoi vicini in città e kibbutzim recintate, ha costruito il suo muro più famoso in risposta alla Seconda Intifada, quando attentati suicidi e altri attacchi hanno traumatizzato cittadini israeliani. Per le aziende israeliane, come Elbit Systems, la sicurezza delle frontiere è diventata un affare da cento milioni di dollari”.

 

“Anziché lottare, è molto più semplice chiudersi dietro a un muro, sedersi sul divano e guardare la tv, rilassandosi”

La barriera israeliana nei Territori forma una striscia della larghezza di un’autostrada a quattro corsie. La morte è irreversibile. I disagi causati ai palestinesi dalla recinzione antiterrorismo sono invece reversibili, una volta che il terrorismo è stato fermato e la pace raggiunta. La libertà di movimento è importante. Ma non è più importante del diritto di vivere. L’idea di fortificare tutti i confini dello stato ebraico nasce da una dottrina pessimista: il medio oriente crolla, i fanatici lambiscono i confini, così Israele deve munirsi di un suo Vallo di Adriano, la cortina di pietra che protesse la Britannia romana dai barbari. Tutti i confini israeliani sono oggi protetti da muri, fence, barriere, protezioni fisiche. Di 51 chilometri è il muro al confine con Gaza. A nord un altro muro protegge il confine con il Libano. Una recinzione a maglie d’acciaio ed alta circa sei metri percorre più di duecento chilometri lungo il confine del deserto di Israele con l’Egitto, dalla Striscia di Gaza al Mar Rosso. Nelle alture del Golan, Israele ha in progetto avanzato una recinzione, lunga più di 70 chilometri, simile a quella egiziana. Nel deserto del sud del Negev sta costruendo un altro fence lungo l’ultimo tratto aperto del suo confine con la Giordania.

 

Nel mondo in cui viviamo, Israele appare come un’anomalia e le sue barriere di sicurezza come un vero “scandalo”. In un saggio per la rivista francese Commentaire, Ran Halevi ha scritto che “Israele è probabilmente l’unico paese occidentale che si sta evolvendo contro la nuova fede in un’umanità senza confini”. Ci si dimentica troppo spesso, infatti, che il liberalismo, la tolleranza, la democrazia e il pluralismo, vanto di Israele, esistono grazie al fatto che a proteggerli e a renderli possibili c’è un muro, proprio come accadde nell’antica Atene di Aristofane. Ma avverte Frye: non importa quanto siano solidi e ben fatti, i muri dietro cui culture e civiltà sono fiorite alla fine sono caduti. Chi sta fuori vince sempre.

  

Speriamo che Israele sia la grande eccezione. Perché sotto le mura di Gerusalemme, è stato detto, si difendono anche le libertà dell’occidente.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.