A Tijuana viene messo il filo spinato sul muro che divide il Messico dall'America (foto LaPresse)

Trump deve fare i conti con la realtà: non ha i soldi per il muro

Daniele Raineri

Al presidente americano servono 5 miliardi di dollari per la barriera al confine con il Messico, ma non ha i voti al Congresso. E a gennaio sarà peggio

New York. Come in Italia il governo gialloverde dei sovranisti si era impuntato sulla percentuale del 2,4 per cento del rapporto tra deficit e pil e adesso tenta goffamente di scendere, così in America il presidente Donald Trump si ostinava a pretendere dal bilancio del governo la cifra di cinque miliardi di dollari per la costruzione del muro al confine con il Messico ma sa che non l’avrà mai e ha dovuto trovare una via d’uscita. Il problema più urgente era che se entro venerdì il bilancio del governo americano non fosse stato approvato dal Congresso allora ci sarebbe stato il cosiddetto shutdown, quindi circa un quarto dei dipendenti pubblici non avrebbe ricevuto lo stipendio e molte agenzie federali non avrebbero ricevuto i fondi che ne permettono il lavoro – per esempio la Guardia costiera e i grandi parchi nazionali. Ma martedì mattina la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders, ha detto che l’Amministrazione vuole evitare lo shutdown e che troverà i cinque miliardi di dollari in altri modi, non meglio specificati. “Vogliamo lo shutdown del confine, non del governo”. Trump quindi segnala di essere pronto a trattare.

  

Di solito quando si arriva a questo genere di situazioni di stallo i partiti americani danno la colpa agli avversari politici e alla loro testardaggine, ma la settimana scorsa Trump aveva rivendicato la piena responsabilità per il rischio shutdown se non avesse ottenuto i soldi per costruire il muro, quindi per realizzare la grande promessa elettorale che ha galvanizzato i suoi elettori: “Build that wall”, uno slogan finito pure sulle magliette. E l’aveva fatto nello Studio Ovale mentre litigava con i capi del Partito democratico davanti a giornalisti e fotografi. Lo shutdown sarebbe scattato (e potrebbe ancora scattare se non ci sarà un accordo) mentre Trump parte per una vacanza già annunciata di sedici giorni nel suo resort con campo da golf in Florida – non sarebbe una bella pubblicità mentre i dipendenti del governo restano a tempo indefinito senza paga, inclusi quelli del Servizio segreto che si occupano della sua sicurezza. 

 

In teoria all’inizio doveva essere il Messico a pagare il muro, ma questa condizione posta da Trump nel 2016 è presto svanita fra le risate del governo messicano. Poi il presidente ci ha provato con il budget dello stato, ma i democratici hanno il potere di veto al Congresso e si oppongono. La loro leader, Nancy Pelosi, è irremovibile e non vuole approvare uno stanziamento di cinque miliardi di dollari che creerebbe buchi nel bilancio soltanto per consentire al presidente di realizzare la sua visione (e di partire in vantaggio alle presidenziali fra meno di due anni). Al massimo, ha proposto un accordo su una cifra di 1,3 miliardi di dollari per rafforzare la sicurezza lungo il confine. Martedì Washington Post e Politico hanno scritto che anche fra i leader dei repubblicani c’era imbarazzo: se i voti non ci sono non ci sono, la matematica è difficile da contestare, era chiaro a tutti che era necessario scendere rispetto alla richiesta – anzi, non doveva essere fatta – e trovare un compromesso. Adesso aspettano un qualsiasi chiarimento del presidente e istruzioni dal leader al Congresso, Mitch McConnel, che detesta gli shutdown. Una fonte vicina a Trump dice che il presidente non sentiva la pressione, anzi era contento che si stesse creando un’atmosfera di attenzione spasmodica e di dipendenza assoluta dalle sue parole. Sono le circostanze che preferisce. I repubblicani gli avevano presentato alcune soluzioni di ripiego, come accordi minori per evitare all’ultimo minuto lo shutdown e garantire il funzionamento del governo per qualche altra settimana, in attesa di un accordo più generale. Ora anche lui ha dovuto cedere, anche se ripete ai suoi consiglieri che a gennaio ci sarà un nuovo Congresso dove i democratici saranno molto forti grazie alla vittoria nelle elezioni di metà mandato e quindi vorrebbe portare al limite la situazione adesso.

 

Questo duello è anche il primo scontro di alto livello tra il presidente e Nancy Pelosi, che fino a quando non spunterà un candidato democratico alla presidenza sarà il primo avversario di Trump – e forse prenderà il posto di Hillary Clinton come bersaglio preferito. Axios, un sito specializzato che segue la politica americana, scrive che la relazione tra i due definirà i prossimi due anni. Entrambi hanno un controllo di ferro sul proprio partito, sono detestati dagli avversari e sanno essere molto sprezzanti. Pelosi ha il compito di “servire Trump su un piatto al democratico che vincerà le primarie”.

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)