Wall Street (foto LaPresse)

Un Foglio internazionale

Perché la “land of the free” s'eclissa

Redazione
Il report ‘Economic Freedom’ del Fraser Institute colloca, nelle classifiche mondiali della libertà economica, gli Stati Uniti al 16simo posto su 159 paesi. Anche se “tali classifiche condizionano più l’orgoglio nazionale che la vita di tutti i giorni”, “esse danno l’idea di come alcuni fattori reali possano condizionare in negativo il benessere e le prospettive future”.

"Si dice che gli Stati Uniti siano la land of the free, eppure essi continuano a perdere posizioni nelle classifiche mondiali della libertà economica. Il report ‘Economic Freedom’ del Fraser Institute, pubblicato la scorsa settimana, colloca gli Stati Uniti al 16simo posto su 159 paesi, alle spalle di paesi come Hong Kong (1°) o dei nostri vicini canadesi (5°) o britannici (10°)”. Così inizia il j’accuse pubblicato su Forbes da Steve W. Bradley e Peter Klein, economisti del Baugh Center for Entrepreneurship and Free Enterprise della Baylor University. “Allarmante il fatto che gli Stati Uniti siano passati dal secondo posto di quella classifica nel 2000 a una posizione peggiore di paesi dell’ex Unione Sovietica come Georgia (5°) e Lituania (15°)”. Anche se “tali classifiche condizionano più l’orgoglio nazionale che la vita di tutti i giorni”, “esse danno l’idea di come alcuni fattori reali possano condizionare in negativo il benessere e le prospettive future”.

 

Il concetto di libertà economica rispecchia infatti lo stato di salute delle istituzioni giuridiche, politiche ed economiche, insomma le “regole del gioco” dei nostri regimi politici. “Avere le giuste regole del gioco porta ad aumentare le opportunità di lavoro, favorisce la creazione di redditi più elevati, la riduzione della povertà, più ampie libertà civili e un generale miglioramento della qualità della vita”. Se è vero che “l’imprenditorialità” è centrale per tutto ciò, scrivono gli autori dell’articolo, “noi siamo preoccupati che il declino della libertà economica americana sia una grossa perdita per gli imprenditori”. Non a caso “le misurazioni dell’attività imprenditoriale (come il tasso di creazione delle start-up) o del dinamismo industriale sono in discesa dagli anni 70.

 

Perché? Ci sono forse meno persone interessate a perseguire una carriera da imprenditori? Ci sono meno idee di nuovi business? O forse sono le barriere alla creazione di imprese che stanno diventando insopportabilmente alte?”. La risposta, secondo Bradley e Klein, è ovvia: “Gli imprenditori ripetono con insistenza – scrivono citando sondaggi della NFIB Research Foundation – che i principali ostacoli alla creazione di nuove società e all’espansione di quelle esistenti sono le regolamentazioni e le licenze sempre più complesse e costose da sostenere, così come la trasposizione di alcune norme a livello locale, l’incertezza sulla legislazione troppo pervasiva o asfissiante (vedi il caso dell’Obamacare) e altre forme di interferenza pubblica nei mercati”.

 

“Nonostante il declino della libertà economica negli Stati Uniti – concludono gli autori – siamo rin- francati dall’avanzamento della stes- sa altrove nel mondo, in particolare nei paesi emergenti. La libertà eco- nomica infatti – e non l’aiuto allo sviluppo o uno stato interventista, come vorrebbero alcune star del jet set americano – è lo strumento chiave per alleviare la povertà e aumentare l’aspettativa di vita”.

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