In America il reddito del 99% cresce eccome, dice ora il socio di Piketty

Luciano Capone
Uno studio (da sinistra) complica la vulgata dell’1%

Roma. Le famiglie americane stanno assistendo a un aumento dei redditi, il più consistente degli ultimi anni. A dirlo è uno dei più affermati studiosi della diseguaglianza economica, Emmanuel Saez, economista a Berkeley e coautore del più famoso Thomas Piketty, l’economista rock star della sinistra. “Nel 2015 il reddito medio per famiglia ha continuato a crescere notevolmente, del 4,7 per cento rispetto al 2014. Il 99 per cento dei redditi più bassi è aumentato del 3,9 per cento dal 2014 al 2015, il miglior tasso annuo di crescita dal 1999”. Analizzando i dati sui redditi dell’Internal revenue service, il corrispettivo statunitense della nostra Agenzia delle entrate, Saez ha rilevato che il 99 per cento delle famiglie americane sta recuperando il terreno perso, visto che si tratta del secondo anno di crescita record. “Complessivamente l’aumento del reddito per le famiglie nel 99 per cento più povero è stato buono anche nel 2015, segnando il secondo anno di ripresa reale dalla perdita di reddito innescata dalla Grande recessione del 2007-2009”. Dopo una discesa dell’11,6 per cento nei due anni di crisi, i guadagni delle famiglie anno segnato una modesta risalita dell’1,1 per cento dal 2009 al 2013 e una forte ripresa del 6 per cento nel biennio 2013-2105. Anche se si tratta di buone notizie – il dato più positivo degli ultimi 16 anni – ancora non è stato recuperato il terreno perso nei due anni di crisi: “Sei anni dopo la fine della Grande recessione – scrive Saez – queste famiglie hanno recuperato solo circa il 60 per cento del proprio reddito”.

 


L'economista Emmanuel Saez


 

Se per il 99 per cento le cose stanno andando nel verso giusto, per il top 1 per cento vanno ancora meglio: i redditi della parte più alta della scala della distribuzione sono cresciuti del 7,7 per cento, a un tasso quasi doppio rispetto al resto della popolazione. E’ vero che questa fascia aveva visto crollare i propri guadagni di oltre il triplo rispetto al restante 99 per cento, ma nei 6 anni post recessione è stato ormai recuperato quasi tutto il terreno perso, più rapidamente della middle class. La doppia velocità della crescita dei redditi indica una strutturale tendenza all’aumento della diseguaglianza e la brutta notizia, secondo Saez, è che l’aumento delle aliquote sui redditi più elevati voluto da Barack Obama nel 2013 non è servito a ridurre la disparità di reddito né servirà in futuro. Ciò vuol dire che l’aumento della diseguaglianza dei redditi non è un tema che può essere affrontato con le armi spuntate della politica fiscale, perché è figlio di forze profonde dell’economia. Il fattore principale è la tecnologia che da un lato, attraverso macchine e software, fa concorrenza ai lavoratori non specializzati e dall’altro aumenta la produttività di quelli più qualificati.

 

A ciò si aggiunge la globalizzazione che, ampliando i mercati, mette in competizione in competizione i lavoratori poco qualificati occidentali con la manodopera cinese e asiatica. L’effetto è stato una diminuzione della povertà e della diseguaglianza a livello globale, ma un aumento della disparità di reddito nei paesi occidentali. C’è però un aspetto da sottolineare: la diseguaglianza economica negli Stati Uniti, ma anche nel resto dei paesi occidentali, è cresciuta rapidamente dagli anni 80 al 2000, quando c’era crescita economica, ma il tema era pressoché assente dal dibattito pubblico. La diseguaglianza è invece diventata centrale nella discussione negli anni di recessione, quando invece, a differenza di ciò che si è portati a credere, non c’è stato un aumento delle differenze di reddito. Probabilmente vuol dire che la preoccupazione delle persone e delle famiglie, più che la disparità con il top 1 per cento, è il proprio impoverimento. E su questo i dati di Saez indicano un’inversione di tendenza, almeno negli Stati Uniti.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali