Da “Captain Fantastic” a “Florence Foster Jenkins”. Alla Festa del cinema di Roma i bei film ci sono

Mariarosa Mancuso
Eppure qualche polemica ci scappa. Se va considerato sgarbo al Salone di Torino, la Festa è uno sgarbo alla Mostra di Venezia che dura da un decennio

Chissà se i romani si daranno una mossa, per l’undicesima edizione della Festa di Roma (così tanti? certo, già così tanti, e non stiamo a infierire sui molti cambiamenti di nome e di formula). Visto dal pubblico interessato. L’Auditorium che ospita le proiezioni e gli incontri sembra dannatamente lontano (cosa che, francamente, chi viene dal profondo nord fatica a capire, e non fa neppure freddo come alla Berlinale). Il sindaco della città Virginia Raggi – non diremo sindaca neppure sotto tortura – vuole “riportare la cultura nelle periferie, farla scorrere nelle vene della città con capillari che irrorino tutto il territorio” (basta mettersi d’accordo su cosa sia periferia, se uno intende l’Auditorium e l’altro Tor Bella Monaca dove fu spedito Leonardo DiCaprio capirsi è difficile). Il ministro dei Beni e della attività culturali Dario Franceschini celebra la manifestazione, dimenticando che la Festa di Roma è nata da una mossa – veltroniana – analoga a quella che spinge gli editori milanesi a volere la fiera del libro a Milano. Se va considerato sgarbo al Salone di Torino, la Festa è uno sgarbo alla Mostra di Venezia che dura da un decennio. Chiuse le polemiche.

 

I film belli da vedere ci sono, a cominciare da “Captain Fantastic” diretto da Matt Ross con Viggo Mortensen (in collaborazione con “Alice nella città”, che coltiva i giovani spettatori). Papà educa i figlioli nei boschi, insegnando loro a cacciare e festeggiando invece del Natale il compleanno di Noam Chomsky: il ritorno alle scarpe e al vivere civile sarà durissimo. A proseguire con “Florence Foster Jenkins”: Meryl Streep nei panni della cantante stonata più famosa del mondo, aveva tanti soldi e si comprava gli applausi. I due attori saranno nella sezione Incontri ravvicinati, assieme a Tom Hanks, Don DeLillo, Daniel Libeskind, David Mamet, Gilbert & George. Fanno una bella accoppiata – speriamo siano programmati spalla a spalla, così uno arranca verso l’Auditorium una sola volta, poi magari torna perché i film gli sono piaciuti – “Denial” di Mick Jackson e “The Last Laugh” di Ferne Pearlstein. Il primo racconta la giornalista che chiamò lo storico Davind Irving “negazionista” ricavandone una denuncia per diffamazione. Il secondo chiede ai comici americani (perlopiù ebrei): si può ridere sull’Olocausto?.

 

L’onore dell’apertura tocca a “Moonlight" di Barry Jenkins, film di formazione su un ragazzo nero. Sullo stesso tema, “The Birth of a Nation” di Nat Parker, pensatelo come uno Spartaco di pelle nera. Quattro gli italiani in concorso: “7 minuti” di Michele Placido, “Sole cuore amore” di Daniele Vicari, il documentario – va di moda – “Naples 44” di Daniele Vicari, “Maria per Roma” dell’esordiente Karen Di Porto. Su questi non ci sentiamo di spendere una parola, certe esperienze veneziane hanno lasciato i lividi.

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