Una scena di "Snowden” di Oliver Stone

Popcorn a Roma

A Roma va in scena tanto cinema di denuncia, tra lacrime e complotti

Mariarosa Mancuso
Prima di deplorare l’esistenza del Grande Fratello uno si chiede: ma una tale massa di dati a che serve? Spiare tutti non equivale a non spiare nessuno? Oliver Stone non lo spiega, anzi non prende neppure in esame la questione.

Cinema di denuncia e cinema con le lacrime ieri alla Festa del cinema di Roma. Dopo l’apertura con “Moonlight” di Barry Jenkins – cinema di formazione, se dovessimo dargli un’etichetta: la storia di un giovanotto nero (e gay) in un ghetto di Miami – sono arrivati “Snowden” di Oliver Stone e “Manchester by the Sea” di Kenneth Lonergan. Il complottista dei complottisti, amico di Hugo Chávez e di Fidel Castro, miniera inesauribile di controverità in materia di storia americana, si dedica a Edward Snowden, l’uomo che rivelò al mondo: “Gli Stati Uniti spiano i propri cittadini, ne ascoltano le conversazioni telefoniche e ne leggono le mail”. Il presidente Obama parla di caccia al terrorismo, ma Edward Snowden sa la verità: il governo lo fa per tenerci in suo potere, oh yes.

 

Un’operazione di spionaggio tanto vasta fa ronzare nella testa non addetti ai lavori un paio di interrogativi. Così banali che abbiamo vergogna a confessarli, evidentemente qualcosa sfugge alla nostra testolina. Prima di deplorare l’esistenza del Grande Fratello – quasi 70 anni dopo il romanzo di George Orwell, e dopo che lo spot di lancio del Macintosh ci aveva rassicurati “ecco perché il il 1984 non sarà un 1984” –  uno si chiede: ma una tale massa di dati a che serve? Spiare tutti non equivale a non spiare nessuno? Oliver Stone non lo spiega, anzi non prende neppure in esame la questione. Preferisce farci credere che ci sia un funzionario della CIA con l’occhio continuamente incollato alla web cam del nostro computer. Il genietto informatico e consulente della Nsa che rivelò i segreti dell’intelligence americana al Guardian e al Washington Post ha la faccia di Joseph Gordon-Levitt, quasi sempre con le dita sulla tastiera. Con un cortocircuito involontario, quando nelle due ore del film l’attenzione cala, pensiamo che anche in “Don Jon” stava sempre davanti allo schermo, a guardare il porno.

 



 

Conviene godersi le prime scene di “Manchester by the Sea”, con Casey Affleck e Michelle Williams. L’ironia sta tutta concentrata qui: mai aspettarsi cose belle in un film dove qualcuno torna nella cittadina dove è cresciuto – appunto “Manchester by the Sea”, con pittoresche casette pastello - per seppellire un parente. Sono scorci di condominio visto dall'omino tuttofare che butta via la roba pesante e fa le piccole riparazioni (sì, anche l’inquilina che al telefono confessa all’amica “gli salterei addosso”). Subito spariscono, la tragedia incombe. Il regista si chiama Kenneth Lonergan, scrive anche per il teatro. Nel 1999 aveva firmato la sceneggiatura di “Terapia e pallottole”, l’anno dopo debuttò come regista con il bellissimo “Conta su di me” (gli attori erano Mark Ruffalo e Laura Linney). Qui indugia, per dare allo spettatore il tempo di piangere dopo ogni scena e dopo ogni segreto svelato.

 


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