Foto di Dale Mastin (via Flickr)

Promuovere un film è un'arte (il cinema un po' meno)

Mariarosa Mancuso
Onnipresenti su internet, i trailer spingono al cinema molto più delle recensioni: uno guarda, magari mentre aspetta di vedere un altro film, e si fa un’idea. Il Festival dei Trailer e della Promozione spiega i mestieri del trailermaker e del postermaker.

Dopo tredici anni a Catania si cambia. Il Trailers Film Fest si trasferisce a Milano. A guardare il manifesto con l’elefante sul tappeto rosso, il Duomo sullo sfondo, un signore con il completo da manager e la valigetta che impettito lo osserva (l’elefante, non il Duomo) sembra che il pachiderma renda omaggio alla location che fu. Temiamo sia una rivisitazione – si dice così? – della Piazza Duomo catanese con al centro la Fontana dell’Elefante di Giovanni Battista Vaccarini. Come dire: ne uccide più il ragionamento dell’illustrazione (che comunque sembra risalire più o meno al 700 di Vaccarini, pubblicitariamente parlando: nella serie “Mad Men” erano molto più avanti).

 

Onnipresenti su internet, i trailer spingono al cinema molto più delle recensioni: uno guarda, magari mentre aspetta di vedere un altro film, e si fa un’idea. Il Festival dei Trailer e della Promozione – è iniziato il cinque ottobre al Teatro dal Verme e all’auditorium Giovanni Testori, Palazzo della Regione Lombardia, si chiuderà stasera – spiega i mestieri del trailermaker e del postermaker. Discute di diritto d’autore, esamina i casi di scuola come “Perfetti Sconosciuti”, e assegna premi. Il passaggio dalla Sicilia alla Lombardia lo ha reso più istituzionale – partecipano gli allievi della Civica Scuola di Cinema intitolata a Luchino Visconti – e più ricco di appuntamenti.

 

Tavole rotonde, dibattiti, concorsi, premi, anteprime e celebrazioni non bastano per nascondere la qualità non eccelsa (diciamo così) dei trailer che vediamo in circolazione. Promuovere è lecito, oltre che indispensabile – la merce va venduta e va venduta bene, non saremo certo noi a lasciarci scappare una parola contro il mercato. Ma se voglio vendere una scatola di pelati, e i pelati magari stanno passando un momentaccio perché la gente vuole il sushi – è inutile scrivere sulla scatola “riso e fettine di pesce”. Magari gli spettatori ci cascano una volta, magari ci cascano anche una seconda – capita pure a noi di credere a un risvolto di copertina invitante, eppure sappiamo benissimo come sono fatti e quanto distano dal libro. Poi uno si infuria e non crede più a nulla, come se avesse davanti il trailer di “Shining”, trasformato da horror (con pugnale e spaventose sopracciglia di Jack Nicholson) a “feel good comedy” dove la famiglia sorride felice.

 

Il maestro è Checco Zalone. In tutto, ormai anche negli annunci che una volta si chiamavano Pubblicità Progresso (era un marchio, è diventato un nome comune: vuol dire colpire nel segno). Per esempio, la raccolta fondi per i malati di Sma: spot scorrettissimo e geniale, da far vedere e rivedere a chi fa comunicazione pubblica. Per “Quo vado?” scrisse e recitò tre sketch originali. Perché non è giusto sprecare le battute migliori. E perché non è detto che le battute migliori – se ascoltate fuori contesto – facciano ridere.

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