Militanti dello Stato islamico

La dolce vita e l'Isis

Giulio Meotti
“Per cosa combattiamo? L’edonismo? Allora sì, saremo preda dei nostri nemici”. Parla il prof. Thornton, classicista della California University: “L’occidente non ha lo stomaco per fare la guerra all’Isis”.

Roma. Nel fine settimana, il New York Times ha raccontato il vero motivo per cui l’Amministrazione Obama non dispiega truppe di terra contro lo Stato islamico: cento soldati morti ogni mese nella guerra al Califfato. Possibile che un paese di trecento milioni di abitanti, la prima potenza mondiale, con il più grande e potente esercito del mondo, non sia in grado di subire una simile perdita, quando nella guerra del Vietnam l’America ne perdeva duemila al mese? Cosa è successo?

 

Ne parliamo con Bruce Thornton, docente di studi classici alla California State University e affiliato al pensatoio conservatore di Stanford, la Hoover Institution. “In ogni conflitto, la domanda è una sola: per cosa combattiamo? I musulmani combattono per la loro fede, che dice loro che l’islam dominerà il mondo attraverso la sharia, perché è il sistema perfetto, un sistema totale per la vita umana, dalla famiglia all’economia alla politica estera, che garantisce il paradiso a chi è musulmano e vive secondo la sharia. Ci credono così intensamente che sono pronti a uccidersi, a mettere a rischio le loro famiglie, a uccidere noi e i nostri familiari per raggiungere questo ordine divino. Per cosa combatte l’occidente? Per cosa, americani ed europei, sono pronti a combattere, uccidere e morire? Più beni di consumo, più piacere sessuale, più pace, più quiete, la dolce vita? I beni materiali non sono abbastanza per morire in loro nome. E’ quattordici secoli che i musulmani ci ripetono, ‘noi amiamo la morte come voi amate la vita’. Oggi, nel nostro malessere di egoismo ed edonismo, dimostriamo loro che hanno ragione”.

 

Lei ha scritto un libro, “Decline and Fall of Europe”, che parla di una sorta di autoliquidazione del Vecchio continente. “Le concessioni per comprare una pace temporanea, la paura del terrorismo, le illusioni multiculturali e un senso di colpa storicamente frainteso abbassano le nostre difese. Il collasso della cristianità in occidente ha lasciato un vuoto: senza una convalida trascendente dei nostri valori, questi diventano negoziabili. Se una cultura non annaffia le proprie radici, appassisce e muore, diventa preda dei propri nemici. In quel caso, come ci ha insegnato Nietzsche, la violenza decide. Poi ha contribuito il discredito per l’orgoglio nazionale e l’identità da parte delle élite europee. Chi è disposto a combattere e a morire per i piccoli dittatori della burocrazia di Bruxelles?”.

 

Abbiamo rimosso la guerra dalla nostra immaginazione. Non fa un po’ pena la risposta francese ai 130 morti di Parigi? “L’Europa indulge nella illusione kantiana dell’internazionalismo, la ‘comunità globale’, le organizzazioni transnazionali come le Nazioni Unite, l’Unione europea, che dovevano fare della guerra un relitto del passato”, dice Bruce Thornton al Foglio. “Questa illusione si è basata sul rigetto della sapienza della Grecia antica, di Roma e della Cristianità: ovvero l’idea che la natura umana è costante nelle proprie passioni irrazionali ed è sempre capace di atti malvagi. Tuttavia la pace in Europa è stata appaltata al potere militare degli Stati Uniti che l’hanno difesa dall’Unione sovietica e che, fino a Barack Obama, hanno protetto il mercato globale dalle aggressioni. E’ come George Orwell sul pacifismo inglese negli anni Trenta: ‘Il lusso di essere una nazione-isola con una grande flotta’. Il pacifismo è penetrato nella coscienza europea, trasformando la guerra in una psicosi da evitare”. A sentir lei, sembra che l’occidente come idea e destino sia spacciato. “Il declino è una scelta, non un destino. La vera domanda, per la quale non ho risposte, è: quanto male deve arrivare, quanto disordine economico, quanta violenza terroristica, prima che l’occidente si svegli? E allora, quale sarà la sua reazione? Liberale, rispettosa della grande tradizione dei diritti umani, della rule of law, della divisione dei poteri, o uno spasmo illiberale di violenza?”.

 

Dopo Parigi, la risposta di tanta gente è stata “non odiare”. “Beh, se una cultura è essenzialmente pacifista, demonizza la guerra, cerca il benessere e il piacere e l’autoindulgenza su tutto il resto, cosa altro dovrebbe fare? Questa cultura è piena di sentimentalisti che rispondono a una tragedia con i sentimenti, simboli pubblici e slogan che non comportano assunzioni di responsabilità”.

 

Lei è uno studioso di antichità. C’è qualcosa di paragonabile alla nostra epoca? “Pensi ai Romani, quando Annibale invase l’Italia. Uccise centomila soldati Romani, dissestò l’Italia da nord a sud. I Romani risposero creando più legioni, dando la caccia a Annibale, attaccando Cartagine, i possedimenti in Spagna, e alla fine sconfiggendo Annibale. Alcuni decenni più tardi rasero al suolo Cartagine. Seicento anni più tardi: bande di barbari, non più di 30 mila, presero il controllo dell’Impero romano d’Occidente. Cosa era cambiato? Dimentichi le spiegazioni materiali: nel 200 a.C., i Romani sapevano chi fossero, per cosa valesse la pena combattere e morire. Seicento anni dopo non più e si arresero. L’occidente oggi sta arrivando allo stesso punto: troppa gente non sa, non si cura, cosa significa essere ‘occidentale’, vivere in una cultura creativa, dinamica, che rispetta i diritti umani individuali, che vive nel consenso del governo, governata dalla legge e non da altri uomini, devota alla libertà. Napoleone ha detto che in guerra, la morale sta ai beni materiali tre a uno. Oggi non abbiamo più morale”.

 

[**Video_box_2**]La guerra in Iraq del 2003 è rimasta orfana. “Il ritiro precipitoso di Obama ha polverizzato il successo raggiunto con il surge. Lasciare una forza militare americana di 20-30 mila uomini avrebbe impedito l’ascesa dello Stato islamico. Ma come l’Europa, una parte consistente dei cittadini americani, specialmente le élite, hanno abbracciato il pacifismo, l’edonismo, le illusioni terapeutiche. Marx e Freud hanno insegnato alle élite l’‘ermeneutica del sospetto’, per cui tutto deve essere messo in discussione, sminuito, specialmente la religione e la morale. Questa idea ha preso il sopravvento sulla classe intellettuale ed è diventata una posa sofisticata, quasi una forma di superiorità intellettuale, pervadendo scuole, media, cultura popolare. Oggi è un riflesso. In Grecia i sofisti furono i primi ad avanzare questa ideologia, ma non riuscirono a prendere il sopravvento. Oggi l’occidente è così ricco, così malamente istruito, che questa fascinazione è considerata abbordabile. A lungo termine, è un suicidio. Non abbiamo più lo stomaco per la ‘long war’ contro il jihadismo. Inoltre, gli Stati Uniti sono da sempre anticolonialisti e si oppongono agli interventi a lungo termine all’estero. Tocqueville ha spiegato che le democrazie non sono in grado di mantenere politiche estere di lungo respiro. Molti miei amici conservatori pensano che un leader forte cambi le cose. Io penso invece che sia il popolo a decidere. E oggi gli americani sono attratti dalla dolce vita. Obama incarna la nostalgia americana progressista per il modello europeo voluto da professionisti, media e accademia. Sfortunatamente l’Europa, durante la sua vacanza dalla storia, aveva le spalle guardate da noi. Chi guarderà quelle dell’America, la Russia? La Cina? Il Califfato? La guerra di tutti contro tutti di Hobbes è il nostro destino, un medioevo postmoderno”.

 

Sembra non esserci cura per il mondo arabo-islamico: o lo status quo o l’esportazione della democrazia. Che fare? “L’idea che la democrazia liberale, il frutto di Atene, Roma e Gerusalemme, che ci ha messo 1.800 anni per realizzarsi in occidente, possa essere portata a una cultura islamica tribale non è irrealizzabile, ma ha bisogno dell’imperialismo liberale: occupazione e controllo delle istituzioni di un paese, eliminazione dei capi nemici, restare a lungo per occidentalizzare una élite indigena che prenderà poi il potere. Ovviamente, nessun paese occidentale oggi è in grado di farlo, nel clima attuale di dubbio, senso di colpa e piacere come summum bonum”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.