Festa del cinema, perché funziona la formula del festival metropolitano senza concorso

Mariarosa Mancuso
Alla sua decima edizione – non più competitiva se non per un premio del pubblico, e per i premi della sezione “autonoma e parallela” Alice nella città, dedicata ai più giovani – è passata attraverso tante formule, tanti modelli, tante reinvenzioni, tanti direttori, e anche tante ragioni sociali, da esaurire le possibilità combinatorie.

Dialogo, adattato perché lo spelling del napotetano risulta per noi fuori portata, della domestica Marina Confalone con la lavatrice (il film era “Così parlò Bellavista”, dal romanzo di Luciano De Crescenzo diretto da lui medesimo). “Il sale te l’ho dato, la luce non ti manca, il detersivo te l’ho messo, il rubinetto è aperto, il programma impostato”. E allora perché il maledetto elettrodomestico continua a non funzionare? La scena arriva come flash, o come un’illuminazione, o magari come un accostamento delirante (può pure essere, qui non si esclude nulla), al momento di fare un bilancio della Festa del Cinema di Roma che si chiude sabato.

 

Alla sua decima edizione – non più competitiva se non per un premio del pubblico, e per i premi della sezione “autonoma e parallela” Alice nella città, dedicata ai più giovani – è passata attraverso tante formule, tanti modelli, tante reinvenzioni, tanti direttori, e anche tante ragioni sociali, da esaurire le possibilità combinatorie. Ha avuto tanti sponsor e una direzione collegiale, nei suoi primi anni veltroniani. Ha avuto meno sponsor e Piera Detassis direttore unico, mentre il decano dei critici italiani Gian Luigi Rondi faceva sentire la sua presenza. Ha avuto un direttore duro e puro come Marco Muller: dopo aver detto della manifestazione peste e corna quando era direttore della Mostra di Venezia, ha tentato di promuovere Roma a grande festival internazionale, con la sua quota parte di film artistici che il pubblico felicemente ignora.

 

[**Video_box_2**]Festa o Festival, che fosse, ha celebrato a dismisura il cinema italiano (anche il cinema italiano che non meriterebbe tanti elogi e commemorazioni). Ha avuto cerimonie di apertura e di chiusura imbarazzanti. Ha portato Leonardo DiCaprio a Tor Bella Monaca, senza spiegargli dove si trovasse: le fan, dopo ore di attesa, sono state indottrinate sull’ecologia. Ha sviscerato in ogni suo risvolto il problema del red carpet: si possono accettare film senza i divi? Si possono tollerare filmacci pieni di star? (tanto poi va a finire che il pienone, più delle star hollywoodiane, lo fanno Carlo Verdone, Monica Bellucci e le fatine Winx). Ultima tappa, sotto la direzione di Antonio Monda, il festival metropolitano senza concorso (un buon modo per limitare il numero di giovani promesse, soliti stronzi, venerati maestri) e senza la caccia alle anteprime per le anteprime. Meglio un film bello già visto a un altro festival, di un film brutto che da mesi fa tappezzeria in attesa che qualcuno lo inviti a uscire. In aggiunta, il Monda’s Touch fornito dalle conversazioni con registi e scrittori. Una risposta sensata alle date infelici, che incastrano Roma tra Venezia e Torino. Se neanche questa soluzione piace, non resta che prendere a pugni la lavatrice.

 

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