Il film bellissimo su Foster Wallace e gli stipendi degli uffici stampa

Mariarosa Mancuso
The end of the tour è senza concorrenza, il più bel film mai girato su un romanziere (che di suo era un genio, ma non sempre i geni hanno l’incantevole conversazione sfoderata qui). Ecco i film presentati alla Festa del Cinema di Roma. E tutto quello che c'è intorno

THE END OF THE TOUR di James Ponsoldt
Senza concorrenza, il più bel film mai girato su un romanziere (che di suo era un genio, ma non sempre i geni hanno l’incantevole conversazione sfoderata qui). David Foster Wallace aveva la bandana in testa per non gocciolare sudore mentre scriveva. Era dipendente dalla tv peggiore e dal cibo spazzatura. Lo sceneggiatore e premio Pulitzer Donald Margulies lavora sul testo di David Lipsky – “Come diventare se stessi”, minimum fax – che ebbe l’immensa fortuna di intervistarlo per Rolling Stone durante un book tour, dopo l’uscita di “Infinite Jest”. Umori, rancori, solitudine, ambizione, paura di perdersi, senza un dettaglio stonato.

 

GRANDMA di Paul Weitz (Alice nella città)
La nipote è incinta, vuole abortire. La nonna, poetessa e lesbica, atterra con un calcio ben assestato il moroso renitente. Ha tagliato a pezzi le carte di credito, il film racconta la ricerca dei seicento dollari necessari. Vendendo le prime edizioni dei testi sacri, sconosciuti alla ragazzina che quando sente nominare “La mistica della femminilità” capisce “Mystique”, la supereroina blu nel film “X Men”.

 

DOBBIAMO PARLARE di Sergio Rubini
Obiettivo: rifare “Carnage” e “Cena tra amici” (già riproposto in peggio da Francesca Archibugi). All’italiana: con personaggi che prendono vita solo dopo la metà del film, quando scoppia la rissa. Prima, un Fabrizio Bentivoglio volgarotto che fa il chirurgo, ma non riesce a convincere.

 

UNE ENFANCE di Philippe Claudel

L’estate è troppo lunga e vuota per Jimmy, che si prende cura del fratellastro piccolo ed è già stato bocciato due volte. La madre e il suo nuovo compagno si sfondano di droga e festini, il corso di tennis costa 60 euro, troppo per chi non ha un lavoro. Storia risaputa, a rischio di banalità, che miracolosamente evita i sentimentalismi, la denuncia sociale, pure le colpe del capitalismo, e si lascia guardare senza sbuffare.

 

Mariarosa Mancuso

 


 

Trionfale conf. stampa del Mercato Internazionale dell’Audiovisivo (Mia) sotto l’ala autorevole e protettiva di Piera Detassis, pres. della Fondazione Cinema per Roma e direttore di Ciak, always chic in Maliparmi, dalla borsona con inserto fantasia e ensemble dark fino agli stivaletti stringati con punta tonda (li vogliamo per le 4 zampe, yes!). Grande la maison che ha mollato lo stile Miami Beach. E’ contenta pure Diamara Parodi Delfino, project manager di Mia, bellezza estenuata in abito a righe bianche e blu. Successone attribuito al direttore del Mia Lucia Milazzotto (in all black, zazzera punk e kajal inclusi, ma spuntavano polsini di una camicetta a pois bianca e nera slurpy) che sciorinava numeri di presenze e eventi, tra cui 546 produttori, 310 buyer, 118 international sales agent 350 commissioning editor. “Strong Industry Presence” titola Variety, la metà straniera. Festeggiate le trattative ma mancano ancora i numeri dei contratti firmati. Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica, esordisce, rievocando i lunghi anni di gestazione del progetto mercato sin dall’èra del defunto Mifed: “Questo conferma che per fare cose in Italia bisogna essere longevi.” Ringraziamenti al Mibact per il “supporto” finanziario. Se non c’è lo stato da noi, si resta al palo. L’arguta Gloria Satta, mai servile, mormora: “Ma del numero di uffici stampa che lavorano per il Mia ne vogliamo parlare?”. Origliato in sala stampa: “Avessimo noi i lauti stipendi che hanno gli uff. stampa del Mia!” Se è vero, il “lauto” sarà relativo alla bassissima media degli stipendi italiani e grondiamo invidia. Festosa rimpatriata con la straordinaria Maria Pia Piccin, presidente di Emmepi Comunication, che gestisce con efficiente eleganza lo Spazio Mazda, sponsor della Festa. Coda dell’Incontro Dario Argento-Bill Friedkin. I due registi si cimentano anche con le opere liriche. Billy è reduce da un’“Aida” al Teatro Regio di Torino e osserva che il dominus è il direttore d’orchestra, seguito dalla musica e dai cantanti. Si lavora con cantanti, poco usi a recitare. “Bisogna spronarli, sennò piantano le gambe larghe e gorgheggiano”, dice Dario. “Fellini ha sempre respinto le molte offerte di dedicarsi all’opera: ‘Il regista non è altro che il direttore del traffico sul palcoscenico’”.

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