Una scena de "Il Professore matto"

Finalmente i millennial hanno la scusa buona: negli anni Novanta era più facile essere magri

Simonetta Sciandivasci

Che siamo ciò che mangiamo lo sappiamo da tempo, ma che il modo in cui assimiliamo e metabolizziamo ciò che mangiamo sia una conseguenza del tempo e non dello spirito del tempo, come vogliono farci credere gli slogan del consumo etico, potrebbe essere la notizia dell'anno.

Il nostro presente fa ingrassare. Che siamo ciò che mangiamo lo sappiamo da tempo, ma che il modo in cui assimiliamo e metabolizziamo ciò che mangiamo sia una conseguenza del tempo e non dello spirito del tempo, come vogliono farci credere gli slogan del consumo etico, potrebbe essere la notizia dell'anno (almeno per chi è a dieta, cioè tutto il mondo occidentale). La rivista americana "Obesity Research & Clinical Practice" ha appena pubblicato uno studio che rivela come individui più o meno coetanei sottoposti al medesimo regime alimentare e di attività fisica, ottengano, in termini di linea, risultati diversi a seconda del tempo in cui sono nati. Comparando i dati delle diete seguite da 36.400 americani (tra il 1971 e il 2003) e quelli relativi agli esiti delle attività sportive di altri 14.419 (tra il 1988 e il 2006), i ricercatori hanno rilevato che un ventenne millennial dimagrisce meno di quanto riuscisse a dimagrire un ventenne degli anni Ottanta o Settanta.

 

Il nostro indice di massa corporea (il temutissimo IMC – l'acronimo americano BMI è più in voga), cioè il rapporto tra peso e quadrato dell'altezza che ci dice se siamo obesi, grassi, normali, magri, anoressici (sui siti che lo calcolano, di solito, c'è sempre una postilla a ricordare che si tratta di parametri generali e che ciascuno ha caratteristiche diverse, come se a qualcuno interessasse essere in forma rispetto alla propria costituzione e non a quella di Belen) è di 2.3 punti più alto rispetto alle generazioni degli anni Ottanta – che di certo non si nutrivano di centrifugati e prodotti della terra.

 

"Questi risultati ci spingono a pensare che potrebbero esistere altri fattori che contribuiscono all'aumento dell'obesità, oltre ad abitudini alimentari ed esercizio fisico", ha detto all'Atlantic Jennifer Kuk, docente di kinesiologia e scienze della salute all'Università York di Toronto. Stando alle sue ipotesi (ancora tutte da verificare), ci sono almeno altri tre elementi che potrebbero aver alterato i nostri ormoni e corroborato la nostra attitudine a ingrassare di più e più in fretta. Innanzitutto, le componenti chimiche del cibo: pesticidi, conservanti e sostanze contenute nelle confezioni. L'uso sempre più massiccio di droghe: non c'è bisogno di mettere sotto accusa discoteche, sballo e sbando, perché le sostanze dopanti più pericolose per l'equilibrio ormonale – e quindi anche del BIM – sono contenute negli antidepressivi, di cui in America si fa un uso pressocché indiscriminato. Infine, l'aumento di consumo di carne (la buona notizia è che vegani e vegetariani sono una minoranza, sebbene si facciano sentire come se fossero una maggioranza) potrebbe aver dato vita, nel nostro intestino, ad alcuni tipi di batteri che ci rendono più difficile perdere peso e molto più facile aumentarlo. Non è la carne in sé a essere nemica del metabolismo umano, ovviamente, bensì gli ormoni e gli antibiotici che vengono somministrati negli allevamenti.

 

L'obesità o anche solo la grassezza, che tendiamo ad ascrivere a indolenza, depressione e lassismo, allora – Kuk tiene molto a sottolinearlo – sfuggono al controllo e alla volontà personali perché sono una risposta biologica a un ambiente. In altri termini, forse, quella risposta dovremmo chiamarla adattamento.

 

[**Video_box_2**]Un’altra raccomandazione: scegliete bene il tutorial e il guru per la ginnastica dimagrante casalinga, quella che fate quando il mondo non vi vede, voi credete che dorma e invece, esattamente come voi, s’ingegna per sfiorare il sottopeso. Jane Fonda non solo è demodè, ma pure inefficace: i suoi esercizi rassodavano corpi più facili da rassodare. A riportare in forma i millennial ci pensa Kayla Itsines (la trovate su instagram o sul sito personale, dove potrete scaricare il suo militaresco ma infallibile programma per dimagrire, tonificare, riformare, insomma tornare a “vedersi il culo”, come Maryl Streep ne “La morte ti fa bella”).

 

Di transgenerazionale e universale ci resta sempre Zsa Zsa Gabor, secondo la quale “non esistono donne brutte, ma solo donne pigre” – vale anche per i maschi, s’intende, solo che, rispetto a vent’anni fa, smettere di essere pigri potrebbe risultare insufficiente.

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