Chi sono e cosa vogliono gli yuccie, post hipster che hanno sepolto gli hipster

Simonetta Sciandivasci
Creativi, certo, ma per guadagno. Il manifesto è apparso ieri su Mashable, a firma di David Infante, scrittore 26enne fieramente panzone, pop e newyorker, anzi brooklyner. L’obiettivo yuccie non è cambiare il mondo o isolarsene, bensì arricchirsi preservando la propria autonomia creativa.
“Non ci servono che un paio di bagel, una tazza di caffè e un po’ di conversazione: io, te e 5 dollari” dice Ethan Hawke a Winona Rider in “Giovani, carini e disoccupati”(1994). Sarà che lui voleva parlare di Heidegger, sarà che sono passati 21 anni e siamo tutti abbastanza smagati da riconoscere in quella formula autarchica l’appiglio dell’individuo all’ultima spiaggia (quando, in mancanza d’altro, si riscoprono i veri valori della vita), ma sembra che il futuro sia finito nelle mani di ragazzi che non hanno nessuna intenzione di essere felici con 5 dollari – e nemmeno di farseli bastare all’american bar. Sono gli yuccie, crasi, anzi offspring (è fondamentale sottolineare il fatto generativo) di yuppie e hipster. Se lo statuto ontologico dei nati tra anni ‘80 e 2000 abbiamo imparato a definirlo con il termine millennial, della stessa generazione sembra che dovremo principiare, con yuccie, a indicare lo statuto teleologico.

 

Il manifesto è apparso ieri su Mashable, a firma di David Infante, scrittore 26enne fieramente panzone, pop e newyorker, anzi brooklyner. Curriculum: studi in liberal arts, che per i born in the USA sono quelli umanistici; amore per il denaro; uso disinvolto dei social network (nel nuovo mondo primeggia Instagram, per la sola condivisione delle foto: Twitter e Facebook sono, se non demodè, secondari); lavoretti, lavori e lavoroni (necessariamente in quest’ordine) nell’editoria; baffi; bicicletta. Insomma, un creativo.

 


David Infante


 

Abbiamo condiviso, con gli americani e forse con il globo, l’assimilazione del giovane creativo al giovane hipster: siamo stati grossolani. C’è una differenza di fondo tra i due ed è il senso per gli affari. Indipendentemente dal fatto che quella hipster sia stata o meno una sottocultura, deve essere chiaro, evidenzia Infante, che gli hipster sono morti (mannaggia, proprio adesso che al Tg2 avevano imparato a parlarne: sarà che il video uccide l’underground) e che, soprattutto, l’intellighenzia millennial si sente stretta nella loro cultura estetica. Non si tratta solo di volersi smarcare dalle barbe lunghe, i jeans slavati di American Apparel, il folk smorto, i reading di poesia beat al parco (meglio Franzen di Ginsberg), il rigetto facilone del mainstream: gli yuccie sono urban. Amano la città e questo non significa semplicemente preferire il cocktail al succo di frutta biologico, ma porta con sé il desiderio di appartenere a un consesso mettendosi al servizio dei suoi bisogni reali (quante start up di marmellate bio sono nate negli ultimi anni? In quanti ristoranti siamo stati costretti a mangiare con le forchettine di legno?).

 



 

[**Video_box_2**]Lo yuccie medio vuole guadagnare rendendo remunerativa la sua intelligenza. Sogna Austin, non Ulan Bator. L’obiettivo yuccie non è cambiare il mondo o isolarsene, bensì arricchirsi preservando la propria autonomia creativa. Come gli hipster, anche gli yuccie fanno azzardi carrieristici e mandano al diavolo gli studi legali per spillare birre artigianali, creare festival musicali e App per l’e-commerce, con il di più che lo fanno miratamente per guadagnare e venire riconosciuti come geni innovatori. “Vogliamo essere pagati per le nostre idee, non per quelle degli altri”, scrive Infante, specificando quanto agio e privilegio corroborino il poter avanzare questa pretesa. Nessuna invenzione: è utilitarismo. Se sarà virtuoso o meno, staremo a vedere. Di buono c’è che una generazione, variegata come lo sono state tutte, ha espresso una voce capace di dire “potremmo risultarvi sgradevoli” e, soprattutto, in grado di ammettere, per la prima volta dall’apertura delle lagne post crisi, che qualche privilegio su cui poter contare, ce l’ha eccome.

 

 

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