La locandina dello spettacolo"World Factory" a Londra

Com'è che se si siede in un board l'hipster per bene diventa capitalista

Paola Peduzzi
Allo Young Vic di Londra, nella South Bank così vivace e mondana e ventosa che dà sul Tamigi, è in corso uno spettacolo teatrale in cui si diventa manager.

Allo Young Vic di Londra, nella South Bank così vivace e mondana e ventosa che dà sul Tamigi, è in corso uno spettacolo teatrale in cui si diventa manager. Si tratta di una di quelle esperienze interattive in cui il pubblico non sta seduto a guardare e ascoltare, magari portandosi dietro dei giornali per coprirsi la testa dall’acqua come quando si assiste al “Rocky Horror Show”. Qui ci si mette a una scrivania e ci si inventa dirigenti d’azienda, con soldi (finti, ma è l’idea di avere un budget che conta) da gestire e strategie da stabilire. Lo spettacolo di Zoë Svendsen si chiama “World Factory” (va avanti fino al 6 giugno), il pubblico viene diviso in sedici team di lavoro, i partecipanti si siedono ai tavoli e giocano a fare i dirigenti di una fabbrica cinese che produce vestiti. Prima di cominciare c’è un’introduzione in cui viene spiegato che il settore manifatturiero nel Regno Unito è ormai a pezzi e che il big player è diventato appunto il regime cinese, e anche se la pièce si svolge in questi anni la sensazione è di essere riportati indietro nel tempo, in un passato industriale che agli occhi di un occidentale pare ormai inesistente (nelle recensioni gli inglesi fanno spesso riferimento alla Manchester del Diciannovesimo secolo). Poi il gioco comincia, ci sono quattro attori che fanno da croupier e distribuiscono le carte del gioco che impongono scelte drastiche, tipo tagliare gli stipendi, licenziare, fare causa ai fornitori, chiudere linee di produzione, insomma quel che i manager delle aziende manifatturiere, non soltanto in Cina, fanno ogni giorno.

 

Lo spettacolo ha costituito un pretesto per parlare molto dello stato del settore tessile in Cina, e della moda in generale, di quanto sia deprimente e disumano tutto quel mondo lussuoso fuori e spregiudicato dentro, ma la recensione più interessante è stata quella pubblicata dall’Observer a firma di Paul Mason. Succedono cose incredibili, scrive scioccato il capo della redazione economica delle news di Channel 4, nessuno, nemmeno gli organizzatori, si aspettava di vedere “la capacità di tanti liberal hipster per bene della South Bank di Londra trasformarsi in capitalisti senza scrupoli non appena si siedono in un board”. Il pubblico è tendenzialmente giovane e con la barba, e anche se sempre brilla la scritta, in inglese e in cinese, “la forza lavoro è l’asset vitale”, molti degli hipster-manager hanno dovuto “sforzarsi a non trattare i lavoratori come spazzatura”. Ogni sera il comportamento del pubblico viene registrato e catalogato e dai dati viene fuori che “i soldi vengono sempre prima dell’etica”, persino in un gioco a squadre in un teatro londinese che ti aspetteresti zeppo soltanto di buone intenzioni e buoni princìpi. Com’è che di fronte alla gestione di un’azienda tutti si trasformano in voraci capitalisti, che quando devono scegliere di rialzare gli stipendi perché gli affari vanno meglio decidono comunque di tenerli bassi? Prudenza, visione di lungo periodo, certo, ma soprattutto, scrive Mason, il fatto che il capitalismo, che è materia imposta dagli stati non una scelta che uno fa, ci impone di essere razionali, e lo dice come se fosse un errore, una mancanza, una bruttura, e non un modello di convivenza sociale in cui le aziende create per fare profitto agiscono secondo schemi che non sono spietati, sono semmai votati alla sopravvivenza. Ci sono alcune scelte, nell’albero delle decisioni che viene presentato allo spettacolo (e che plasma la vita reale), cui ci si arriva soltanto quando si mette l’etica davanti al profitto, ma in questo microcosmo teatrale quasi nessuno arriva su quei rami, si ferma molto prima, i conti in mano e decisioni secche da prendere in pochi minuti.

 

[**Video_box_2**]Ora, qui non si vuole sostenere che il metodo di lavoro cinese sia da difendere né che il capitalismo sia sempre giusto e mai irresponsabile, ma l’hipster che diventa “tiranno capitalista” in una sera rappresenta una delle tante forme di adattamento alla realtà che si vedono anche in altri ambiti, come i sindaci di sinistra che diventano popolari quando adottano politiche liberali, considerate spesso di destra, per dire. E’ la prova del governo, del potere, è il motivo per cui non c’è da rimanere sorpresi se un manager fa il manager, c’è solo da godersi lo spettacolo, sperando che funzioni.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi