(foto Chris Liverani/Unsplash)

La rivincita delle opinioni sui numeri: da leccarsi i baffi

Giuliano Ferrara

Numeri paradossali e inaspettati su risparmio, disoccupazione e spesa pubblica

Ci dev’essere qualcosa di disfunzionale negli uffici che elaborano statistiche oppure bisogna dire che i numeri sono capricciosi e inaffidabili o in alternativa che non sappiamo leggerli. Forse c’è del vero per ciascuna delle diagnosi. Ora scopriamo che la disoccupazione è al 6,3 per cento. Pare che dipenda dagli inattivi cronici, quelli che non cercano nemmeno un lavoro perché pensano di non poterlo trovare o perché hanno trovato altre forme di sostegno al reddito nella spesa pubblica o nel lavoro nero. Con il crollo della produzione, il feroce decremento del pil, in mezzo al blocco forzato per cento giorni di molte, moltissime imprese, la questione del lavoro era ovviamente tornata in primo piano. E al lavoro, al suo grado di precariato così forte da noi, alla capacità di tutelarlo e incrementarlo, alla necessità di rimpiazzare la perdita di reddito dovuta alla stasi e alla clausura, ai sussidi e agli altri mezzi di sostentamento e sopravvivenza abbiamo dedicato giustamente una acuta attenzione nelle settimane scorse. Una spiegazione esauriente alla fine verrà trovata, resta il fatto che abbiamo un tasso di disoccupazione di due punti inferiore a quello degli Stati Uniti, risaliti oltre l’8 per cento dopo una lunga epoca tra il 4 e il 5 per cento, colpa degli oltre quaranta milioni di disoccupati creati dalla crisi pandemica. Sono paradossi e salti logico-statistici da far venire i brividi. Veniamo da un periodo in cui i numeri ce li siamo giocati ogni pomeriggio, in sede di Protezione civile, attenti a pesarli, valutarli, e ciascuno aveva una sua opinione in merito. Non c’erano numeri, in realtà, ma solo interpretazioni epidemiologiche. 

 

Le cifre dovrebbero essere l’ancoraggio sicuro nel galleggiamento incerto delle opinioni facili e insicure. Invece scopriamo che non c’è un numero capace di confermare quel che crediamo fermamente e da tanto tempo, che siamo formidabili risparmiatori noi italiani, che la insufficienza degli investimenti e dei consumi, parti costitutive della mancata crescita economica, dipende anche da questa infinita tesaurizzazione delle famiglie, con l’effetto di un debito pubblico astronomico a petto di una immensa ricchezza privata. Ma ora, a leggere l’Economist, nell’elaborazione statistica di questa verità ricevuta entra un elemento bizzarro: gli italiani sono convinti di essere grandi risparmiatori, scrivono nel giornale della City, ma in realtà i nuclei familiari mettono da parte il 2,5 del loro reddito a fronte di una media europea del 5,7 per cento (Hitting the poorest hardest, 6 giugno). Dal momento che la ricchezza privata e il risparmio sono considerati un fattore decisivo di resistenza alle crisi, per un paese afflitto da diseguaglianze e da debito, si vorrebbe un chiarimento. Numerico? Interpretativo? Chissà. 

 

Infine c’è il “quanto” della spesa pubblica straordinaria mobilitata per rispondere al lockdown, e il “come” (garanzie sui prestiti alle imprese, trasferimenti diretti, spesa sanitaria, sussidi al reddito, misure di alleviamento fiscale e varie altre voci). Anche qui un’orgia di interpretazioni su misure, standard e colonnini statistici diversi, e probabilmente l’unico dato certo è che la Germania con i suoi 300 miliardi ha raggiunto una cifra pari al 10 per cento del suo robusto pil, una performance spettacolare e al di sopra delle medie europee comparabili. C’è chi pensa che siamo anche giustamente spendaccioni, sì, ma con giudizio, e che in realtà la fine delle regole di stringente austerità finanziaria, peraltro già molto elasticizzate e flessibilizzate, come si dice, ha innescato un’avanzata strategica più che altro tedesca nella spesa pubblica. Così le opinioni ritornano a dettare legge sui numeri, o almeno si prendono la loro rivincita. La nostra creatività sociologico-letteraria è inesausta, e molto brillante spesso, dai documenti del Censis alla “società signorile di massa” di Luca Ricolfi. Molto probabilmente il fenomeno dipende dalla vertiginosa incostanza e volubilità dei numeri organizzati in statistica. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.