(foto LaPresse)

In un mese abbiamo bruciato i posti di lavoro creati in tre anni

Luca Roberto

Ad aprile il tasso di disoccupazione è crollato ai minimi dal 2008, dice l'Istat. Ma non vuole dire che più gente ha trovato lavoro: semplicemente ha smesso di cercarlo. Giovani e donne i più penalizzati

Ad aprile la disoccupazione in Italia è crollata al livello più basso da oltre 12 anni: 6,3 per cento, ma difficilmente qualcuno rivendicherà di avere “abolito i disoccupati”. Perché quello diffuso quest’oggi dall’Istat è un rapporto dalle tinte quasi completamente fosche: in un mese si sono persi 274 mila posti di lavoro, e chi è uscito dal girone della ricerca di un’occupazione non ha certo trovato riparo in una sistemazione più confortante. Semplicemente ha smesso di cercarlo, il lavoro, ed è confluito nell’insieme degli inattivi. Una condizione, dopo mesi di reclusione forzata, quantomeno in linea con l’èra pandemica.

 

“E’ chiaro come i dati debbano essere analizzati in relazione al Covid, perché in nessun’altra circostanza 4-500 mila persone smettono da un giorno all’altro di cercare lavoro”, spiega al Foglio il presidente di Adapt, Francesco Seghezzi. “E però la situazione è a maggior ragione così grave perché si innesta su un quadro altrettanto preoccupante. Già negli ultimi mesi del 2019, e nei primi due mesi del 2020, avevamo visto un mercato del lavoro in rallentamento. Ci siamo bruciati la crescita occupazionale di tre anni con i dati di un solo mese, la prova di come il nostro sia un mercato del lavoro fragile”.

 

Per effetto delle chiusure imposte dal lockdown governativo, ci si aspettava un certo travaso numerico dalla categoria dei disoccupati a quella di chi non cerca lavoro né studia, ma non di questa portata. L’agenzia Reuters ha raccolto il parere di 12 diversi economisti, secondo cui ad aprile il tasso di disoccupazione in Italia sarebbe salito al 9,5 per cento: circa tre punti percentuali in più rispetto al calcolo dell'Istat. Anche il tasso di disoccupazione giovanile è sceso al 20,3 per cento, ma allo stesso tempo è sceso anche il tasso di occupazione (meno 0,6 per cento) ed è aumentato di 2 punti e mezzo il tasso di inattività.

 

“A oggi questo calo dei disoccupati colpisce praticamente solo i contratti a termine, che semplicemente finiscono e non vengono rinnovati. Ce ne sono circa 70 mila a tempo indeterminato che potrebbero essere un residuo di persone licenziate prima che entrasse in vigore il blocco, a marzo, e che sono state incluse nelle statistiche del mese successivo”, dice ancora Seghezzi. “L’interrogativo più grande lo scioglieremo con i dati riferiti ad agosto. Quante imprese licenzieranno quando non ci sarà più il blocco? Probabilmente oggi, se il provvedimento non fosse in vigore, sarebbero tantissime. Ma chi sa se, da qui ai prossimi mesi, ci sarà un po’ di ripresa. La manifattura in questo momento fa un tentativo di rilancio”, come abbiamo evidenziato anche sul Foglio. “Bisognerà capire se è dato dal fatto che si stanno evadendo gli ordini fatti negli ultimi mesi, o se invece si sta lavorando con le nuove commesse”. 

 

 

A qualcuno è sembrato strano che, contrariamente a quanto osservato nel contesto italiano, in Germania la disoccupazione sia calata, anche a maggio, in misura addirittura maggiore rispetto alle stime fatte il mese precedente. Ma, come spiega Seghezzi, “quella tedesca è una situazione molto diversa dalla nostra, perché da loro non c’è stato un lockdown per legge delle grandi imprese manifatturiere. La crisi lì si sta giocando più sul calo degli ordini, su dinamiche più tradizionalmente di mercato ed economiche”. Quella abbattutasi sul lavoro in Italia sempre essere, invece, una tempesta perfetta in grado di spiattellare in bella mostra tutte le nostre storiche vulnerabilità. A partire dall'impatto variegato della crisi che, a ora, non sta investendo tutti allo stesso modo. I più colpiti sono i giovani, le donne e i lavoratori a tempo determinato, “categorie che di solito pagano prima le crisi, e come in questo caso, le pagano più di altri”.

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