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Così con la tassa sulle rimesse il governo incentiva l'immigrazione

Luca Gambardella

I gialloverdi dicono di puntare sugli investimenti nei paesi in via di sviluppo, ma la nuova imposta dell'1,5 per cento, oltre a favorire il sommerso, innesca tanti effetti perversi. Che peseranno anche sugli italiani

Il governo gialloverde assegna all’Italia un primato: il nostro paese diventa il primo in Europa, e uno dei pochissimi al mondo, a tassare le rimesse verso l’estero degli immigrati residenti. L’articolo 25 novies del decreto fiscale prevede un’imposta dell’1,5 per cento da applicare ai trasferimenti di denaro effettuati tramite Money Transfer Operators (Mto) superiori ai 10 euro e diretti verso paesi extra europei. Tante le polemiche, soprattutto tra i giganti del settore come MoneyGram e Western Union, che oltre ad avere costi operativi più elevati si preparano ad adeguare le commissioni.

  

La rabbia degli operatori privati, che prevedono un calo rilevante delle operazioni sui loro circuiti, non ha impedito all’esecutivo di tornare su una strada che, in passato, aveva già dimostrato di essere infruttuosa. Nel 2011 ci aveva provato il governo Berlusconi. All’epoca si decise di puntare tutto sul senso di responsabilità di chi effettuava il versamento: una volta spediti i soldi, bastava che applicasse una marca da bollo alla ricevuta. Ovviamente, in mancanza di controlli, la mossa si rivelò un fallimento e dopo appena un anno fu l’esecutivo di Mario Monti a cancellarla.

 

Ancora oggi, sulla scia di quanto accaduto otto anni fa, l’impatto economico della nuova tassa sui Money Transfer rischia di trasformarsi in un boomerang. Non solo, secondo gli operatori del settore si va verso un sostanziale passo indietro rispetto agli impegni assunti dal nostro paese a livello internazionale. “Nel 2009 fu proprio l’Italia che, in occasione del G8 dell’Aquila, chiese e ottenne la creazione di un Global Remittance Working Group (Grwg), un gruppo di lavoro che coinvolge anche la Banca Mondiale”, dice al Foglio Daniele Frigeri, direttore del Cespi e di un ente indipendente, l’Osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti, che fornisce analisi e pareri alle istituzioni italiane. Il Grwg è un organo che garantisce la trasparenza e che monitora i costi dei trasferimenti di denaro all’estero. Il tema è molto delicato: “Un’elevata tassazione dei trasferimenti di denaro rischia di incoraggiare l’uso di canali non formali per inviare soldi e di favorire il riciclaggio. Per questo, oltre che per liberare risorse e aumentare l’impatto delle rimesse nei paesi destinatari, tra gli obiettivi che il Grwg si era posto c’era quello di abbattere fino al 5 per cento il costo totale dei trasferimenti di denaro. C’eravamo andati molto vicini nel gennaio dello scorso anno, con un costo complessivo pari al 5,7 per cento. Ora – secondo Frigeri – con la nuova tassazione, l’obiettivo si allontana di molto”.

  


Andamento flussi rimesse dall’Italia – Serie storica (milioni di Euro). Fonte: Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti in Italia, VI rapporto 2017 


 

Ma quanto spera di incassare il governo? In base ai calcoli elaborati nelle relazioni tecniche presentate in Senato, l’imposta sulle rimesse dovrebbe servire a coprire la detassazione sulle sigarette elettroniche. I numeri però disegnano uno scenario paradossale: il flusso di denaro trasferito dagli immigrati nei propri paesi di origine si aggira sui 4,85 miliardi di euro all’anno (dato del 2016, secondo l’ultimo report elaborato dal Cespi) ma il governo conta di incassare appena 60 milioni di euro. Una cifra ai limiti dell’irrilevanza su una manovra da 37 miliardi di euro complessivi. E la somma potrebbe essere ancora più bassa. “Non esistono stime precise su quanto porterà la nuova tassazione nelle casse dello stato. Sicuramente quelle che girano sono cifre esagerate”, spiega Frigeri.

  


Costo medio di invio delle rimesse dall’Italia verso 14 paesi per importi. Fonte: elaborazioni Osservatorio Nazionale sull Inclusione Finanziaria dei Migranti su dati mandasoldiacasa.it 


 

A fronte di un incasso minimo per l’erario, le criticità sono diverse e toccano sia le economie dei paesi d’origine dei migranti sia quella italiana. Le rimesse sono risparmio privato e collettivo con un duplice scopo: da una parte forniscono sostegno per i nuclei famigliari all’estero, dall’altro sono un incentivo ai consumi e agli investimenti nei paesi di origine dei migranti. “Basti pensare che in alcuni stati le rimesse rappresentano il 25-30 per cento dei pil nazionale”, dice il direttore del Cespi. Secondo i dati della Banca d’Italia, il 26 per cento dei migrati residenti in Italia ha realizzato investimenti nel proprio paese d’origine tramite le rimesse. Una percentuale che sale al 44 per cento per i titolari di un conto corrente in Italia. Per non parlare dei cosiddetti “diaspora bond”, che sono le rimesse usate per finanziare opere pubbliche nei paesi di origine. Secondo Frigeri “parliamo di uno strumento che è un moltiplicatore dello sviluppo dei paesi più poveri”. Così, mentre il governo annuncia da mesi di volersi battere a livello europeo per aumentare gli investimenti in Africa e disincentivare l’immigrazione, lo stesso esecutivo approva una norma che, secondo il direttore dell'Osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti, “non si sposa per nulla con il rilancio delle politiche di sviluppo”. Anzi, la mossa potrebbe avere un effetto contrario: “Di solito in questi paesi le famiglie scelgono il membro più giovane da mandare in Europa a lavorare. L’obiettivo è fargli trovare un lavoro per inviare parte del suo stipendio in patria. Mai o quasi mai il fine del viaggio è quello di fare trasferire anche gli altri membri della famiglia. Per questo direi che tassare le rimesse ha come risultato quello di incentivare l’immigrazione, piuttosto che scongiurarla”.

 


Canale preferito per l’invio delle rimesse Fonte: Osservatorio Nazionale sull’Inclusione Finanziaria dei Migranti in Italia, VI rapporto 2017 


 

Oltre a contraddire gli annunci su un maggiore impegno dell’Italia negli investimenti nei paesi in via di sviluppo, la tassa sui Money Transfer innesca cortocircuiti anche nella nostra economia. “La decisione di mettere un’imposta solo agli operatori Mto, ma non alle banche o alle poste rischia di alterare la concorrenza”. Oggi gli Mto sono il canale preferito dagli immigrati per inviare denaro all’estero, perché è il più veloce: il 61,9 per cento usa i Money Transfer, contro il 16,6 per cento che predilige le banche e appena il 6,4 le poste. Ma esistono anche dubbi sull’equità della norma. “Non è chiaro perché lo stato imponga delle tasse sul risparmio dei migranti residenti più alte rispetto a quelle degli italiani”, si chiede Frigeri. E infine, a proposito di paradossi, anche i cittadini italiani saranno colpiti dalla nuova tassazione: “Al compimento della Brexit, un genitore italiano che vorrà inviare del denaro a suo figlio che studia a Londra dovrà pagare di più se userà gli Mto”. Così, sia la politica che criminalizza l’immigrazione, sia la logica del “riprendiamoci ciò che è nostro” sbandierata dalla propaganda del governo gialloverde inciampano su un aspetto finora non calcolato: entrambe hanno un costo, anche per le tasche degli italiani.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.