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La vicenda del ponte Morandi conferma che il discorso incivile ha ormai allagato quasi tutto

Giuliano Ferrara

La classe forcaiola è alla ricerca di un capro espiatorio per scaricare il suo autoritarismo ma a Genova “il” colpevole non c’è, e basta leggere per capirlo

Non c’è alcun colpevole per il crollo del ponte. E’ quanto traspare dall’inchiesta del New York Times e dai primi atti della magistratura, oltre che da giudizi domestici, anche di osservatori che si pongono in atteggiamento censorio. Ne so poco, anzi niente, di ingegneria. Ma so leggere. E’ saltato un tirante, quello del pilone numero nove, o la sua staffa. Che si arrivi a stabilire un perché, nel senso univoco di un rapporto di causa ed effetto, è difficilissimo, direi impossibile. Che si possa affermare che lo si poteva evitare, altrettanto. In astratto e anche in via di fatto, sono rintracciabili responsabilità, e la magistratura ci sta lavorando senza far chiasso, per adesso, e senza andare oltre la ricognizione dovuta di chi ne ha o può averne di oggettive. Ma sappiamo tutti che è già accertato quel che ha scritto Gianluca Di Feo su Repubblica: privati concessionari, stato e consulenti tecnici a vario titolo hanno tutti preso, in fatto di allarme e di interventi d’emergenza e manutentivi, le stesse decisioni, e di concerto. Erano anni che la controversia sul viadotto Morandi allignava, perizie e controperizie si sono succedute, piani di manutenzione e investimenti corrispondenti ci sono stati, era in ballo una proposta come la Gronda per ovviare allo stress di una via percorsa da centotrentamila veicoli al giorno, ma si sa la fine che ha fatto e il tributo pagato a ideologia e propaganda, e i tempi dell’azione in questi casi sono sempre quelli di prima, non possono essere giudicati con il senno del poi. La discussione sulla tecnologia degli anni Sessanta riguardo al cemento, che avvolgeva i tiranti e rendeva particolarmente arduo rintracciare elementi di pericolo seri e immediati, giudicarne la consistenza e il grado di pericolo per la tenuta del ponte, potrebbe durare anni e finire senza una conclusione tecnico-scientifica che non si presti a equivoci.

 

L’impressione è che i genovesi, gente tosta e malinconica, forte del senso del destino, sono infuriati, certo, e nutrono un dolore inconsolabile, tantomeno con procedimenti frettolosi di vendetta sociale o penale, sanno più di ogni altro, o sentono, che la vera questione è il futuro, il ripristino, la protezione al massimo grado di un sistema infrastrutturale che è stato simbolo di arditezza ed è diventato un tremendo segnacolo di morte e sofferenza, di impotenza e tragedia. L’elenco di coloro che hanno delle potenziali responsabilità indirette è lungo ed è contenuto nelle prime carte, atti dovuti dei magistrati genovesi. Altri nomi si aggiungeranno, alcuni da quelle liste usciranno, ma finché non siano dimostrati conflitti di interesse attuali, negligenze gravi e indiscutibili, o addirittura connessioni e decisioni irresponsabili con implicazioni penali, non importa se colpose, la colpa personale o aziendale, che ha giganteggiato nella chiacchiera politicista dopo il crollo, andrà esclusa, senza trascurare ovviamente responsabilità di gestione e sorveglianza che fino ad ora nessuno ha scansato. La faccenda è rilevante perché il tema della colpevolizzazione, i poteri forti, i complotti, le varie dietrologie, l’inclinazione a prendersela con il sistema, con il suo meccanismo di funzionamento, con le filiere tecniche alla sua testa, e naturalmente con i mercati, magari più banalmente ed efficacemente con i pedaggi, tutto questo è entrato di prepotenza nel nostro linguaggio pubblico.

 

E non da ieri il discorso incivile ha allagato con le sue versioni più maligne quasi tutto, dalla sanità al funzionamento della selezione scolastica, dall’insieme della pubblica amministrazione ai servizi decisivi della vita sociale come i trasporti; senza dimenticare che l’incubazione è nell’idea malsana del deep state, il doppio stato, la congiura dei potenti ai danni dei piccoli e vulnerabili, insomma una retorica abusiva che ha svuotato progressivamente di significato la democrazia, il suo statuto di sistema liberale, e ha fatto della giustizia penale un sistema di riorientamento della vita associata, incidendo pesantemente, dalla distruzione dei partiti allo schiaffo al professore, dalle botte al medico alla denuncia permanente della colpa negli incidenti più vari, su un elementare criterio di autorità e competenza, e sull’idea della buona fede presuntiva di chi si occupi della vita comune.

 

E’ sacrosanto ricercare le responsabilità, esaminare i fatti, ricostruire il possibile e l’impossibile che si dovrebbe fare sempre, statutariamente, per impedire le tragedie, per intralciare quel che di una tragedia fa una tragedia, cioè la sua inevitabilità, e il contesto genovese dell’inchiesta e della riflessione ad alta voce sul crollo del Morandi offre l’impressione che di questo si sia consapevoli, oltre l’orizzonte miserrimo di una classe dirigente forcaiola sempre alla ricerca di un capro espiatorio per scaricare la sua pulsione violenta e autoritaria al dominio delle coscienze.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.