I lavori di smaltimento dopo il crollo del Ponte Morandi (foto LaPresse)

Genova è un altro test sulla credibilità di Lega e M5s (e non sta andando bene)

Alberto Brambilla e Renzo Rosati

I tempi per demolire e ricostruire il ponte sono rapidi (sulla carta) ma a venti giorni dal crollo c’è molta propaganda e pochi fatti

Roma. Se il crollo del ponte Morandi di Genova, il 14 agosto scorso, doveva essere l’alibi perfetto al blitz dei 5 stelle, Luigi Di Maio e il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli in testa, per un’immediata nazionalizzazione delle autostrade oggi in gestione ai privati, e in generale di tutte le concessioni pubbliche, l’operazione è già fallita. Il danno, però, c’è stato: con l’annuncio della revoca delle concessioni il titolo Atlantia, la holding dei Benetton, ha perso oltre 4 miliardi di capitalizzazione di Borsa. Ora il governo che preferisce pensare ai cittadini anziché agli odiati mercati, potrà provare di esserne convinto. A venti giorni dalla tragedia la stessa inchiesta della magistratura procede con i piedi di piombo, quelle che erano state presentate come vergogna e responsabilità esclusive del gruppo Atlantia appaiono ripartite tra privati e controllori pubblici, locali e nazionali, compresi quelli alle dirette dipendenze di Toninelli. E soprattutto la Lega non ha nessuna intenzione di gettare a mare – né a Genova né altrove – una collaborazione sulle infrastrutture con i concessionari e con i costruttori privati che ha dato ottimi frutti in Lombardia e Veneto, e altri sono attesi nella stessa Liguria (con la Gronda e il Terzo valico), in Piemonte (con la Tav), con la Pedemontana veneta e quella lombarda. Egualmente dopo venti giorni se il trio di governo Di Maio, Toninelli e Salvini si ripresentasse a Genova come il 18 agosto, giorno dei funerali di 19 delle 43 vittime, difficilmente verrebbe accolto dagli stessi applausi. 

 

Dalle prime ore di furia statalista il solco tra 5 Stelle e Lega, e tra governo gialloverde e autorità liguri, il governatore Giovanni Toti di Forza Italia e il sindaco leghista Marco Bucci, ma anche il sottosegretario alle Infrastrutture Edoardo Rixi, uomo forte di Salvini a Genova, si è via via allargato, pur finora senza polemiche ufficiali.

 

Nel capoluogo ligure i 5 stelle sono stati gli unici, alle comunali 2017, a presentare un candidato ostile alle opere pubbliche e alla collaborazione con i privati: eppure, il grillino Luca Pirondini, che aveva sostituito in corsa la ancora più anti Gronda Marika Cassimatis, non era neppure arrivato al ballottaggio. Bucci, un manager di esperienza internazionale, già vicepresidente di Sgs, la multinazionale della certificazione dalla quale proveniva Sergio Marchionne, ed ex ceo di Eastman Kodak, si è presentato con un programma di sviluppo del polo tecnologico Human Tecnopole, che vede impegnati una quantità di soggetti privati in collaborazione con l’Expo milanese, anche per affrancare la città dalla tradizionale industria pesante.

 

E’ soprattutto grazie ad attori locali se qualcosa all’apparenza si muove davvero: l’Autorità sistema portuale e il comune sono all’opera con le ruspe per spianare la “strada del Papa”, usata nel corso dell’ultima visita di Wojtyla, che era voluto andare all’Ilva: una via infraportuale che passa dai terminal del porto di Genova anche con una sopraelevata e ha un ponte sul torrente Polcevera per giungere vicino alla acciaieria, presso la zona industriale di Cornigliano. Si sta creando un passaggio che consente ai mezzi autorizzati di entrare e uscire dalla cinta portuale. Ma il problema è che sono in corso le verifiche di stabilità in quanto la sopraelevata non è adatta alla portata dei camion e si stanno facendo verifiche di stabilità perché non è costruita per un traffico intenso e soprattutto a doppio-senso. L’obiettivo di renderla operativa entro il 17 di settembre, data di apertura delle scuole in cui il traffico torna alla normalità. A ponte Morandi esistente c’erano problemi di viabilità in quel periodo e fine settembre sarà uno stress test per la viabilità cittadina. Sulla carta i processi di demolizione (tra esplosione dei due tronconi rimasti ed eliminazione dei resti) e di ricostruzione hanno tempi rapidi, rispettivamente trenta giorni e otto mesi di esecuzione. Ma l’iter reale è ben più complicato. Per effettuare i sopralluoghi tecnici Autostrade deve attendere il permesso della procura che ha sequestrato l’area per le indagini sull’incidente, servono poi i permessi del ministero delle Infrastrutture e dei vigili del fuoco per le eventuali modifiche al territorio che potrebbero essere apportate. “Se tutto fila liscio la demolizione potrebbe concludersi a fine ottobre”, ha detto il presidente di regione e commissario all’emergenza Toti. Anche almeno 150 appartamenti su 251 abbandonati nei pressi del Morandi saranno interessati alla demolizione, sono state già assegnate delle case per gli sfollati, che chiedono indennizzi (anche al metro quadro) alla famiglia Benetton (finora 1,5 milioni). Le richieste di alloggi sono in aumento. La fase successiva, quella di ricostruzione, è anche più complessa. Di Maio ha messo in campo la Fincantieri per la ricostruzione del viadotto (con i soldi di Autostrade per l’Italia) ma la Lega ha immediatamente frenato, convinta che l’azienda cantieristica di Giuseppe Bono, e di proprietà pubblica, abbia sulle spalle già troppi problemi e responsabilità per fare un lavoro che in fondo non è il suo. Così al primo incontro tra Bono e l’ad di Atlantia Giovanni Castellucci il primo non si è presentato e il secondo è arrivato con tutto il proprio staff. Il sindaco di Genova e il governatore di centrodestra hanno poi accolto di buon grado il dono del progetto di un nuovo ponte, del quale magari non si farà nulla, dell’archistar Renzo Piano, nominato senatore a vita da Giorgio Napolitano e già ascoltato consigliere del governo Renzi. Piano può fare viaggiare l’immaginazione, che non ha tempo né spazio, purtroppo però, i tempi di Piano non sono gli stessi della realtà, ben più lunghi. Per fare collaborare Fincantieri Infrastructure e Autostrade si deve definire una Associazione temporanea di imprese (Ati), quel veicolo normativo che consente la possibilità di fare partire i lavori grazie un raggruppamento temporaneo di imprese alle quali poi viene dato l’affidamento e iniziare l’opera per la quale hanno deciso di collaborare. Finché non viene costituita l’Ati formalmente l’affidamento non può esserci. C’è un passaggio ulteriore: per accelerare i tempi, probabilmente, non ci sarà un bando di gara, e, secondo indiscrezioni, il governo cercherebbe un mandato parlamentare: probabilmente porteranno delle risoluzioni in Parlamento che consentano al governo di iniziare la ricostruzione con una procedura straordinaria in deroga al principio di concorrenza. Finché non c’è un passaggio in Parlamento, dunque l’iter potrebbe non partire.

 

Per ora c’è stata molta propaganda e ideologia da parte dei grillini, e invece pragmatismo della Lega. La quale non solo non vuol riaprire il tormentone della ridiscussione delle grandi opere, ma, sotto la pressione dei suoi amministratori del nord, dovrebbe accelerare il ripristino della viabilità. Il 47 per cento del traffico portuale di Genova va e viene dalla pianura Padana e un traffico ridotto colpisce direttamente le aziende del nord. Tutti sanno che la campagna elettorale delle europee 2019 passerà anche per il rifacimento del ponte Morandi. E magari è dalla stessa via – per ora stretta – che passerà il futuro della coalizione gialloverde. Alla prima emergenza il governo non potrà prendersela comoda.

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