Ecco come sono disegnate le nuove schede elettorali, tutt'altro che a prova di errore
Cosa ci aspetta nelle urne il prossimo 4 marzo e perché sulle schede ci ritroveremo facce note acchiappa voti che hanno più visibilità rispetto agli altri candidati
Si vede prima il nome del candidato nel collegio uninominale, poi, più sotto, il simbolo del partito. I tre o quattro candidati che compongono il listino plurinominale, che rappresenta la quota proporzionale degli eletti nel prossimo Parlamento, sono invece molto meno evidenti, buttati lì quasi a riempire. A prevedere che le schede elettorali che useremo per le prossime elezioni siano organizzate così è il testo della legge elettorale che debutterà proprio il 4 marzo: “La larghezza del rettangolo contenente il nome e il cognome del candidato nel collegio uninominale è doppia rispetto alla larghezza dei rettangoli contenenti il contrassegno nonché i nomi e i cognomi dei candidati nel collegio plurinominale”. L’impatto visivo tra il candidato di “punta” e gli altri gregari è dunque fissato uno a due.
Il “Manuale Elettorale” che racchiude le “norme per le elezioni politiche” preparato dall’Ufficio studi della Camera dei deputati e diffuso in cinquecento copie ai deputati in Aula mercoledì pomeriggio, rivela l’aspetto delle schede elettorali come sono concepite dal Rosatellum (bis), tutt’altro che a prova di errore.
A fare da volano ai partiti saranno dunque nomi e cognomi dei candidati nei collegi uninominali, i primi che l’elettore si ritroverà sotto al naso, una volta aperta la scheda. Sono quel 36% di uomini e donne scelti dalle coalizioni – questa è la quota maggioritaria – a “tirare dentro” i voti che serviranno ad eleggere il restante 64% dei parlamentari alla Camera come al Senato. Ecco perché i principali partiti (quelli che possono permetterselo almeno) stanno facendo a gara per individuare facce note – che qualcuno preferisce definire spregiativamente “figurine” – che portino voti agli altri.
Il sistema elettorale che porta la firma del capogruppo dem Ettore Rosato è una sorta di Mattarellum rovesciato, un mischione tra maggioritario e proporzionale dove però, a differenza della legge sua antenata, è la quota proporzionale ed eleggere il maggior numero di candidati. Chiarisce il Manuale: “Per l’elezione dei 618 deputati, 231 seggi sono assegnati in collegi uninominali, i restanti 386 seggi sono ripartiti a livello nazionale con il metodo proporzionale (...)”. E ancora: “Il numero dei senatori elettivi è di 315, 6 dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Per l’elezione dei 309 senatori 109 seggi sono assegnati in collegi uninominali, i restanti 193 seggi sono assegnati, in ciascuna regione, nell'ambito di 33 collegi plurinominali”.
Col vecchio uninominale i collegi costituivano le maggioranze (e il centrodestra fece 61 a 0 in Sicilia), oggi è il voto ai partiti a creare la base di un governo, mentre le sfide dirette nei collegi uninominali fungeranno da “surplus”, quasi da premio di maggioranza.
Ecco perché è sui candidati di coalizione nei collegi uninominali che i leader politici si giocheranno una partita importante. Tutti – da Matteo Renzi che insiste sui ministri a Matteo Salvini che si è giocato la carta Giulia Bongiorno a Silvio Berlusconi che conta molto sulle sue dirigenti donne – stanno gestendo la pratica come una partita di scacchi, mossa dopo mossa. Chi sfiderà il candidato premier dei Cinquestelle Luigi Di Maio nel suo collegio a Pomigliano D’Arco, in Campania? Riuscirà Paolo Siani a riconquistare il collegio napoletano del Vomero, dove il centrodestra era in vantaggio? Roma e Torino sono veramente contendibili da parte di forzisti e Pd con candidati forti da contrapporre ai signor nessuno grillini che partono però avvantaggiati?
Proprio questa distinzione tra candidati “di collegio” che possono tirare la volata e quelli che si mettono in scia sta creando moltissime tensioni dentro agli stessi partiti. Perché se è vero che gli eletti al proporzionale sono sicuri, gli altri potranno rivendicare all’apertura delle urne una medaglia in più, avranno una legittimazione diretta che gli altri non possiedono. Recita ancora il Manuale: “Il voto si esprime tracciando un segno sul contrassegno della lista prescelta ed è espresso per tale lista e per il candidato uninominale ad essa collegato. Se è tracciato un segno sul nome del candidato uninominale il voto è espresso anche per la lista ad esso collegata e, nel caso di più liste collegate, il voto è ripartito tra le liste della coalizione in proporzione ai voti ottenuti nel collegio”. La preferenza, dunque, va al candidato uninominale, il resto è (quasi) un automatismo. Ci sono candidati nei listini plurinominali che potrebbero finire eletti senza nemmeno farsi vedere nel collegio dove sono stati paracadutati.
Le altre novità
Di novità che riguardano le schede ce ne sono anche altre. Fermo restando il “divieto di introdurre all'interno delle cabine elettorali telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini” che obbligherebbe i presidenti di seggio a sequestrare gli smartphone, il Parlamento ha introdotto per la prima volta in una legge elettorale anche un meccanismo finalizzato ad impedire contestazioni, furbate o truffe. Alle Politiche, infatti, “ogni scheda sarà dotata di un apposito tagliando rimovibile, recante un codice progressivo alfanumerico, denominato "tagliando antifrode", che è rimosso e conservato dagli uffici elettorali prima dell'inserimento della scheda nell'urna”. Niente più sospetti di schede precompilate o “aggiustate” dopo, dunque. Ci saranno lo stesso – come sempre, dal 2001 in poi – le accuse di brogli?