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Calderoli ci spiega perché il Pd non ha fatto un buon affare con il Rosatellum

David Allegranti

“Ha scritto una legge con le coalizioni, ma si è ritrovato da solo e ha perso un pezzo di partito". I problemi del Partito democratico alle prossime elezioni secondo il vicepresidente del Senato

Roma. “E’ una costante, sono i cicli storici a dirlo: chi scrive una legge elettorale, perde. E’ successo con il Pentapartito nel 1993, è successo quando l’abbiamo fatto noi nel 2005. Succederà di nuovo adesso”. Roberto Calderoli, vicepresidente del Senato, ingegnere costituzionale - “Treccani dei regolamenti parlamentari”, come lo definiscono a Palazzo Madama - dice al Foglio che il Pd non ha fatto un buon affare con il Rosatellum. “Ha scritto una legge con le coalizioni, ma si è ritrovato da solo e ha perso un pezzo di partito. In cambio ha guadagnato Bruno Tabacci ed Emma Bonino. Beh, complimenti”. Oltretutto, osserva Calderoli, “se Tabacci e Bonino stanno sotto l’uno per cento sostanzialmente sottraggono voti che non verranno usati dalla coalizione”.

 

Ai fini del risultato complessivo delle coalizioni, infatti, non vengono computati i voti ottenuti da liste che non hanno superato l’1 per cento; è un freno alle “liste civetta”, ma rischia di essere una beffa proprio per il Pd. “Guardi, tutti quando scrivono le leggi elettorali lo fanno pensando che possa tornar utile qualcosa, anche se poi accade il contrario. In questo caso però c’è la volontà espressa di farsi del male. Io credo che ci sia proprio un problema di equilibrio, non solo politico ma di altra natura”.

 

Di altra natura, senatore?

“Ma sì, siamo di fronte a casi umani. E io faccio il medico, quindi mi attengo a Ippocrate”.

 

Senatore, ammetterà però anche anche nel centrodestra le cose non vanno poi benissimo. Siete uniti elettoralmente ma le sportellate non mancano.

“Io le sportellate le giudico positivamente. Se fossimo tutti d’accordo, saremmo in un unico partito. Ognuno dà le sue risposte alla popolazione, ma ora abbiamo sottoscritto un programma, c’è un simbolo e quindi una sintesi. Queste sono diversità che a me piacciono e sono un valore aggiunto per il centrodestra”.

  

Che ne pensa della rinuncia di Roberto Maroni?

“Ci sono rimasto, non me l’aspettavo. L’ho saputo qualche giorno prima, credevo che si sarebbe ricandidato”.

 

E Attilio Fontana ce la fa?

“Ce la strafa. Adesso poi lo conoscono tutti. In appena dieci giorni”.

 

Lo conoscono per la frase sulla “razza bianca”.

“Non doveva usare quel termine, ma sul concetto dell’identità sono d’accordo. E va bene così: se uno sbaglia una parola ma dice un concetto giusto, io lo giudico per il concetto”.

Il fatto che LeU non sostenga Giorgio Gori è un regalo al centrodestra?

“Penso che Fontana vincerebbe comunque. Ma con LeU che va per fatti suoi arriviamo al 12-15 voti di distacco. Fontana non farà che crescere, Gori non farà che decrescere. Gori è in pista da mesi, mentre Fontana in una settimana che è fuori ha già recuperato. E poi penso che qualcuno che è rimasto nel Pd - chessò, un operaio di Cinisello - potrà avere qualche difficoltà a votare Gori, che è sembra uno di Mediaset”.

 

E invece alle politiche succede?

“Guardi, se imbrocchiamo le persone giuste all’uninominale, possiamo ottenere la maggioranza assoluta sia alla Camera sia al Senato”.

 

A proposito di candidature: che ne pensa di Gianluigi Paragone, ex leghista ed ex direttore de La Padania, candidato con i Cinque Stelle?

“Mi lasci dire un bel ‘no comment’. Vale per lui che va con i Cinque Stelle e per i Cinque Stelle che se lo prendono. Sono cavoli loro. Oggi sono stato mezz’oretta con Beppe Grillo…”.

 

E che le ha detto?

“Non glielo dico!”, dice ridendo Calderoli.

 

Ma fa ancora ridere?

“Fa ridere ma ride anche alle battute degli altri”.

 

Senta Calderoli, c’è chi dice che Berlusconi non voglia vincere davvero, perché poi gli tocca governare con la Lega.

“Ma chi le dice queste cose?”.

 

Marcello Pera, per esempio, al Foglio.

“Guardi, ricordo un commento di Francesco Cossiga quando Pera voleva togliergli la parola, e non è che Cossiga intervenisse spesso: ‘Pera, nomen omen’. Pera ha detto Sì al referendum, ha posizioni simili a quelle di Renzi. E così come aveva previsto la vittoria al referendum, accadrà il contrario anche questa volta”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.