(foto Ansa)

Ricordi in libertà

Alla fine ci salvò quel Drago del Cav.

Marco Taradash

Berlusconi aspirava sinceramente a costruire una forza liberale, poi il tradimento degli alleati e la sconfitta nel 1996 strozzarono la riforma. Entrò in politica per difendere i suoi interessi quando coincidevano con l’interesse generale

Sono stato amico di Berlusconi per tre anni, dalla fine del 1993 alla fine del 1996. Ho frequentato quotidianamente le sue case, Via di Santa Maria dell’Anima e qualche volta Villa San Martino, gli ho dato sempre del tu, ho partecipato agli incontri politici più riservati, gli ho esposto sempre il mio pensiero e spesso le mie critiche. Mi giudicava “spigoloso”. Ero già in Parlamento con Pannella quando crollò la prima Repubblica, poi fui eletto con la lista pannelliana dei Riformatori alleata di Forza Italia e Lega nel collegio uninominale di San Donato Milanese nel 1994 quando vincemmo le elezioni e con la sigla di Forza Italia nel 1996 nel collegio uninominale di Cava dei Tirreni e da capolista in Campania. Nel 1995 avevo creato la Convenzione per la Riforma Liberale che portò in Parlamento alcuni dei migliori cervelli dell’area liberaldemocratica, in genere editorialisti dei maggiori quotidiani nazionali e in genere provenienti dalla sinistra (Renato Brunetta, Lucio Colletti, Piero Melograni, Marcello Pera, Giorgio Rebuffa, Saverio Vertone), contribuendo a dare di Forza Italia un’immagine meno pittoresca di quella che gli avversari dipingevano.

 

Berlusconi aspirava sinceramente in quegli anni a costruire una forza liberale. Il tradimento degli alleati nel 1995 e la sconfitta del 1996 gli tolse ogni velleità di “rivoluzione”, come diceva lui, o di “riforma” liberale come dicevo io, e iniziò un’altra strada su cui preferii non seguirlo. Ho chiuso lì la mia avventura parlamentare, senza mai fargli mancare consigli non richiesti (ma non rifiutati, come quando con Benedetto Della Vedova creammo i Riformatori Liberali in un periodo per lui politicamente molto difficile). Negli ultimi anni, diciamo negli ultimi dieci-quindici anni, non ci fu più né modo né ragione di consigli o critiche, che il percorso né liberale né illiberale di Forza Italia si era definitivamente concluso nell’inutilità politica di un partito occupato dal potere che aveva distribuito, e il suo putinismo ne fu un umiliante sigillo.

 

Berlusconi era sorto nel 1993 come un drago dalla voragine democratica provocata dalla magistratura di rito ambrosiano e aveva fatto fallire, almeno in parte, il golpe di Mani Pulite. Entrò in politica per difendere i suoi interessi, nel momento in cui questi coincidevano con l’interesse generale. Impedì la nascita di un regime rosso (postcomunisti+ManiPulite+Antimafia Caselli-Violante)-bruno (Anm+Msi), in un momento cruciale della nostra storia. Ci evitò, per quanto ne fu capace, che l’Italia finisse in mano dei Travaglio, Santoro, Scalfari, De Benedetti, Ingroia e Di Matteo. Pensateci quando ne sparlerete.

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