Hanno rifiutato ogni lamentela, mai vittime, per esibire senza sfarzo ma con assoluta eleganza un linguaggio competente, preciso, che spiega e razionalizza anche l’apocalisse. Trovano sempre il modo di nobilitarsi anche nella sconfitta, quelli di Cesena, Forlì, Faenza, Bagnacavallo, Ravenna, dei paesi coperti di acqua fangosa
Edmondo De Amicis avrà avuto le sue ragioni per dedicare al “Sangue romagnolo” il suo famoso e tenero racconto horror, con il quindicenne Ferruccio che si pente delle sue “scapestrature” abbracciando la nonna e proteggendola con il suo corpo dalla pugnalata dell’infame Mozzoni, ottenendo il suo perdono contrito d’amore in punto di morte. L’Ottocento ha la sua sapienza etno-regionale, e chi siamo noi per giudicare le sue scapestrature letterarie? Dante amò intensamente e tormentosamente la Romagna dei tiranni, del sangue e dei modi autentici e belluini, dannandola sottilmente e obliquamente nell’Inferno con l’assoluzione impossibile di Guido da Montefeltro (“ch’assolver non si può chi non si pente / né pentere e volere insieme puossi / per la contraddizion che nol consente”), riscattandola in parte nel Purgatorio e celebrandola nella pace nel Paradiso, che pare sia stato scritto nell’ozio produttivo di Ravenna.
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