Non il cemento, la stagione travolge, non le case e le strade e i cortili, è il tempo atmosferico a sollevare incubi da estinzione, da ultima generazione. Chi ha voglia di dire a ragazze e ragazzi che siamo a un passaggio della terra, come ce ne sono stati in tutti i secoli, e non alla sua fine apocalittica?
“Primavera di mezzo inverno / è stagione a parte, sempiterna / benché intrisa di acqua verso il tramonto / sospesa nel tempo, tra polo e tropico”. Nel suo ultimo Quartetto, Little Gidding, T. S. Eliot spiegava la crudeltà delle stagioni. Questa è stagione crudele per la fetta di pianura padana alluvionata, per vite, cose, case, animali, oggetti nel fango. Nessuno può onestamente pretendere di sapere con certezza sperimentale perché abbia piovuto troppo sul troppo poco di prima, sebbene sia un dato certo. Si vive la stagione infame nella “cecità del primo pomeriggio”, si urlazzano colpe, occasioni mancate, padronanze impossibili della natura che è versata alla morte e specialmente alla morte per acqua.
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