Accademici svedesi

Ales Bialiatski, il Memorial e il Center for civil liberties. Ecco chi ha vinto il Nobel per la Pace

Il premio più ambito è andato all'attivista bielorusso, e a due ong per i diritti umani, una dalla Russia e l'altra dall'Ucraina

Redazione

Il Premio Nobel per la Pace del 2022 è stato diviso in tre. Il primo vincitore è il difensore dei diritti umani bielorusso Ales Bialiatski. Poi l'Organizzazione russa per i diritti umani Memorial e l'Organizzazione ucraina per i diritti umani Center for Civil Liberties. Il Comitato norvegese per il Nobel ha affermato di aver scelto i tre vincitori per onorare i campioni dei "diritti umani, democrazia e convivenza pacifica" nei paesi vicini Bielorussia, Russia e Ucraina. Uno sforzo per promuovere "una visione di pace e fraternità tra le nazioni” nel mezzo della guerra in Ucraina.

 

 

Il premio coincide con il giorno del 70esimo compleanno del presidente russo Vladimir Putin e l’anniversario dell’assassinio della giornalista e attivista russa Anna Politkovskaja. "I vincitori del Premio per la pace rappresentano la società civile nei loro paesi d'origine", ha affermato Berit Reiss-Andersen, presidente del Comitato norvegese per il Nobel. "Per molti anni hanno promosso il diritto di criticare il potere e proteggere i diritti fondamentali dei cittadini. Hanno compiuto uno sforzo eccezionale per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e l'abuso di potere".

 

In un tweet il Comitato del Premio Nobel ha descritto Ales Bialiatski come uno dei principali attivisti che hanno contribuito a dare vita a un movimento pro democrazia in Bielorussia a metà degli anni Ottanta. Nel 1996 ha fondato il Centro per i diritti umani Viasna, o Primavera, con l’obiettivo di denunciare i nuovi poteri dittatoriali del presidente bielorusso. Viasna ha documentato e denunciato l’uso della tortura sui prigionieri politici in Bielorussia. Bialiatski, 60 anni, è stato incarcerato dal 2011 al 2014 ed è stato nuovamente arrestato nel 2020 dopo le proteste diffuse contro il governo del presidente Aljaksandr Lukashenka.

 

Dal 2020 è detenuto in Bielorussia senza processo. "Ha dedicato la sua vita a promuovere la democrazia e lo sviluppo pacifico nel suo paese d'origine", ha affermato il Comitato. Bialiatski è la quarta persona in prigione o detenuta a ricevere il Premio Nobel per la Pace, dopo Carl von Ossietzky della Germania nel 1935, Daw Aung San Suu Kyi del Myanmar nel 1991 e Liu Xiaobo della Cina nel 2010. Il Comitato durante la cerimonia di premiazione ha esortato le autorità bielorusse a rilasciare l’attivista bielorusso Bialiastki dalla prigione in modo che potesse andare a Oslo e ricevere il Premio personalmente.

 

 

L’Organizzazione Memorial, con sede a Mosca, è stata fondata nel 1987 da attivisti dell'ex Unione sovietica in ricordo delle vittime del regime comunista. Tra i fondatori il premio Nobel per la pace Andrei Sakharov e l'attivista per i diritti umani Svetlana Gannushkina, rendendola la più grande organizzazione per i diritti umani in Russia e diventando una fonte autorevole sul numero di prigionieri politici.

 

Sul Foglio avevamo già scritto di Memorial: 

 

Qui l'articolo di Anna Zafesova sulla sentenza del Cremlino contro Memorial per avere “presentato falsamente l’Urss come stato terrorista”:

Micol Flammini sulla guerra di Mosca contro i suoi oppositori: 

 

Il Centro ucraino per le libertà civili è stato fondato nel 2007 per promuovere i diritti umani e la democrazia. Dall'invasione russa dell’Ucraina a febbraio, ha svolto un ruolo fondamentale nella documentazione dei presunti crimini di guerra. Il comitato ha elogiato il Centro ucraino per aver preso posizione per "rafforzare la società civile ucraina e fare pressione sulle autorità affinché facciano dell'Ucraina una democrazia a tutti gli effetti". 

 

I nomi di cui si vociferava per il premio più ambito sono conosciutissimi. Si andava dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky alla più famosa attivista per il clima del mondo, Greta Thunberg. In cima alla lista dei papabili comunque c'erano tutti i nomi più coinvolti nell'opposizione all'invasione russa dell'Ucraina. A cominciare dal presidente, ma non solo: si parlava infatti anche di Alexey Navalny. L'oppositore politico che, sopravvissuto all'avvelenamento da Novichok e ora in carcere, ha fatto delle dichiarazioni in merito alla guerra solo pochi giorni fa, definendola "ingiusta e criminale". Sull'onda dell'opposizione spiccava poi il nome di Svetlana Tikhanovskaya, la politica bielorussa che ha sfidato apertamente il regime di Alexander Lukashenko, candidandosi contro di lui alle elezioni del 2020, e che adesso è in esilio. 

 

L'altro grande tema all'ordine del giorno è il cambiamento climatico. Una tra tutte era Greta Thunberg, che ha iniziato le sue proteste del venerdì in solitaria quando aveva 16 anni, da Stoccolma ha condotto i suoi Fridays for Future, il movimento in difesa del clima, in tutto il mondo. Sulla sua scia, Nisreen Elsaim, attivista per il clima sudanese, avrebbe potuto essere insignita del premio più ambito: la ragazza è un membro consultivo delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici, ed è presidente del Sudan youth for climate change. 

 

Tra le organizzazioni, quelle più chiacchierate erano l'Unhcr, ovvero l'Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, il Fondo Onu per l'infanzia insieme all'Unicef. Ma anche l'Organizzazione mondiale della sanità e il Comitato internazionale della Croce Rossa