Burocrazia, ambientalisti e procure: il non detto dietro il disastro nelle Marche

Ermes Antonucci

Lentezze burocratiche, opposizione di comitati cittadini e ambientalisti, interventi della magistratura: dietro la tragedia dovuta all'alluvione nelle Marche non si cela soltanto il disinteresse della politica per il territorio

Lentezze burocratiche, opposizione di comitati cittadini e ambientalisti, interventi della magistratura. C’è un’altra parte della storia della tragedia dovuta all’alluvione nelle Marche (undici persone morte, altre due ancora disperse) che merita di essere raccontata. La prima parte l’abbiamo raccontata il giorno seguente al disastro, svelando l’esistenza di una delibera adottata il 25 marzo 2016 dalla Regione Marche che aveva previsto interventi per prevenire il rischio di un’esondazione del fiume Misa. Proprio quello che è fuoriuscito dagli argini giovedì sera, provocando morte e distruzione, e che già era esondato il 3 maggio 2014, causando due vittime.  Il piano approvato dalla giunta individua come principale intervento la realizzazione di un sistema di aree di laminazione, vale a dire una serie di vasche che consentono di trattenere le acque in eccesso in caso di piena. Il piano prevede inoltre lavori di manutenzione straordinaria degli argini e dell’alveo fluviale. Dopo sei anni, però, gran parte degli interventi ancora non sono stati realizzati.

 

Interpellato dal Foglio, l’ingegner Stefano Stefoni, direttore del Genio civile di Ancona dal novembre 2019 al dicembre 2021, a capo della Protezione civile delle Marche dal 2022, respinge le accuse di immobilismo mosse nei confronti della regione: “Nei due anni in cui sono stato a capo del Genio civile, autorità responsabile della sicurezza delle acque, abbiamo avviato molti degli interventi indicati nel piano”. “Abbiamo realizzato un nuovo ponte a Senigallia – spiega – senza pilastri in acqua e più alto di quello precedente. In questo modo, in caso di piena, le piante non si bloccano sotto e non si crea un effetto ‘tappo’. Ora stiamo programmando di rifare il ponte Garibaldi. Per fare queste cose, però, non ci vogliono settimane, ma anni. Al di là dei finanziamenti, il problema sono i tempi necessari a ottenere le autorizzazioni. C’è una difficoltà nel realizzare le opere che è impressionante”.

 

Lì dove non emergono il disinteresse della politica e le lentezze della burocrazia, intervengono le proteste dei comitati cittadini e l’attivismo della magistratura. “Per il torrente del Triponzio avevamo autorizzato il Consorzio di bonifica delle Marche a effettuare un taglio selettivo delle piante sugli argini e nell’alveo, per migliorare l’ufficiosità idraulica, cioè la possibilità che l’acqua scorra senza trovare ostacoli – racconta Stefoni – A prevederlo è un regio decreto del 1904. Gli argini, infatti, dovrebbero essere ispezionabili e percorribili. Dall’altro lato, nell’alveo ci deve stare l’acqua, non le piante. Era stato fatto un appalto, l’impresa aveva cominciato a lavorare, ma poco dopo è arrivato un esposto e la procura ha sequestrato il cantiere, tutt’ora sotto sequestro”. Mi sta dicendo che i magistrati non sanno che la responsabilità della sicurezza delle acque spetta al Genio civile? “Ma lo sanno, però vanno oltre”, replica l’attuale dirigente della Protezione civile della Marche. “Tutti i soggetti portatori di interessi diffusi devono essere coinvolti nella progettazione di queste opere, però il primo interesse che deve prevalere è quello della sicurezza. Se il resto è compatibile si può fare. Se non è compatibile con la sicurezza, non si può fare. E questo lo decide l’autorità idraulica, cioè il Genio civile, nessun altro. Questo principio, stabilito da una legge di 120 anni fa, viene disconosciuto da tutti, pure dalla procura della Repubblica. Una volta scrissi anche al prefetto, contestando che non potevo svolgere il mio ruolo”, afferma Stefoni.

 

Il rappresentante del comitato dei residenti che si oppone alla creazione delle vasche di espansione del fiume Misa continua a sostenere che questa opera sia inutile e che non sarebbe servita a fermare l’ondata di fango e detriti. Nel corso degli anni, il comitato ha promosso numerose manifestazioni per opporsi al progetto di messa in sicurezza del fiume. “Mi dice come fa il rappresentante di un comitato cittadino, che magari nella vita fa tutt’altro che l’ingegnere, a dire che le vasche di espansione sono inutili? Cos’è? L’undicesimo comandamento? Qui c’è un mondo che ci studia dietro e poi arriva qualcuno e dice che le vasche sono inutili”, sbotta Stefoni.

 

“La priorità è la sicurezza. Oggi, invece, prevalgono altri aspetti. Quando il Genio civile propone un intervento per la messa in sicurezza di un fiume si sente rispondere ‘sì, te lo faccio fare, però mi metti la pianta lì’, oppure ‘l’argine me lo fai col castagno invece che con il leccio’. Ma di cosa stiamo parlando? Lo saprò io come bisogna fare l’argine, no? Mica me lo deve dire l’Arpa o chi fa la valutazione di impatto ambientale, che non ha mai fatto un progetto in vita sua. C’è un’autorità idraulica con un suo ruolo e andrebbe rispettata”.

 

Intanto, come atto dovuto, la procura di Ancona ha aperto un fascicolo per individuare eventuali responsabilità penali sul disastro causato dall’esondazione del Misa.