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Rosari e scemenze

Maurizio Crippa

Renato Farina su Libero sostiene che anche la Dc usava, come Salvini, simboli religiosi. Non è così: erano segnaposto

Mi perdonerà Renato Farina, l’amore di fratello è sempre litigarello, se torno brevemente su questa storia stucchevole, perfino un po’ stomachevole, del cattivo uso che quel blasfemo demagogo disarcionato di Matteo Salvini fa dei simboli cristiani. Tralascio il Salvini da spiaggia (ma nemmeno su questo concordo con Renato: bere mojito andrebbe segnalata, di per sé, come colpa grave) e parlo dell’articolo di Farina ieri su Libero. In cui, con la consueta sberluccicante prosa, sostiene che accusare il Capitano per abuso di sacri simboli sia una vaccata (brianzolismo, tra noi ci capiamo), dacché la stessa Dc, oltre a chiamarsi cristiana, aveva la croce nel simbolo. E persino lo scudo, che sarebbe da intendere come lo scudo di Lepanto (mah. Ma mi fido). Ma scudo a parte, Renato Farina è troppo intelligente e la sa troppo lunga – discuto con lui apposta: per il resto, di questi tempi, è pieno di imbecilli da sacrestia e da tastiera che nemmeno sanno di che si parla – per non sapere che quella croce era un segno (che non è esattamente un simbolo) in un contesto semantico (anzi semiotico) pervaso di simboli forti e universali: svastiche, falci e martelli, fasci e pugni chiusi. E alludeva, per un popolo fedele ma anche non dotato di chissà quali strumenti, al posto giusto su cui mettere la croce. Ma soprattutto nessun democristiano mai, né De Gasperi, né Moro e neppure “l’oriundo vaticano” Andreotti fece mai uso misticheggiante-propagandistico di quel segno. Era solo un segno. O meglio un segnaposto. Che rimandava alla politica, nell’ecosfera della laicità.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"