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Al Festival

Neanche gli addetti ai lavori parlano dei film, qui ci si chiede come sarà la Mostra di Venezia 2024

Mariarosa Mancuso

Tirerà vento d’italianità? Sussurri convergono sul nome di Pietrangelo Buttafuoco. Chissà che effetti produrrà la crociata avviata da "Piertutto Favino" contro gli americani che interpretano Enzo Ferrari e Maurizio Gucci

Di cosa si parla a Venezia quando mancano le star, e anche le smutandate che gli anni passati esibivano le proprie grazie? Ora sul biglietto per la Sala Grande c’è scritto – in caratteri minuscoli ma senza appello: “Non garantisce l’accesso al red carpet”. Di cinema parlano soprattutto gli studenti, con frasi rubate ai vecchi critici, roba che a quell’età dovrebbe provocare l’orticaria. Serissimi, da impegnati anni 70: “Una scelta commerciale” (se il film è bello e piacerà al pubblico), “filosofico e profondo” (se il regista o la regista la tirano in lungo oltre il lecito), “commovente” (applicabile a Priscilla, la moglie bambina di Elvis Presley, o alle traversie di un trans polacco). Unica differenza: al cinema piangono. Non dovrebbe essere possibile, considerato che hanno visto immagini cruente fin da piccoli. E per la differenza tra vero e finto bastano i filtri di Instagram. 
     

Neanche gli addetti ai lavori parlano dei film. Si chiedono piuttosto come sarà la Mostra di Venezia 2024. Cosa faranno il nuovo governo e il ministro Sangiuliano, decisi a porre il proprio sigillo sulle manifestazioni culturali. Il presidente della Biennale Roberto Cicutto è in scadenza il prossimo 2 marzo. Chiacchiere, pettegolezzi e sussurri convergono da tempo sul nome di Pietrangelo Buttafuoco. Le quotazioni di Luca Barbareschi, produttore degli ultimi film di Roman Polanski, variano da un giorno all’altro, se non dalla mattina alla sera. Il contratto del direttore Alberto Barbera comprende la Mostra 2024, sgambetti politici permettendo. Nei suoi due mandati ha avuto il grande merito di riportare un festival che mostrava segni di stanchezza sulla mappa dei grandi appuntamenti, molti film hanno cominciato qui la marcia verso l’Oscar. Volendo un festival che punta sull’italianità, diventa un difetto.

Lo sciopero degli attori ha promosso in apertura di festival “Comandante” di Edoardo De Angelis e Sandro Veronesi: sotto il fascismo c’era gente di cuore. Con l’intuizione dell’attore, “Piertutto Favino” (copyright Stefano Disegni) ha colto il cambio di stagione, avviando una crociata contro gli americani che recitano Enzo Ferrari e Maurizio Gucci (non sarà mica un provino andato male?). Gli intellettuali pendenti a a destra non aspettavano altro, è difficile accontentarsi del francobollo dedicato a Gina Lollobrigida. O della Cinecittà raccontata da Saverio Costanzo, lupi che attentano alla virtù delle fanciulle.
     

Il nuovo direttore potrebbe essere Gian Luca Farinelli, attuale presidente della Fondazione Cinema per Roma (la Festa si terrà dal 18 al 29 ottobre, date infelici per avere titoli di richiamo: gli ottimi incassi dell’estate sono dovuti a “Barbie” e a “Oppenheimer”, non ai film italiani offerti a 3 euro e 50). Si è visto al Lido anche Marco Müller, che aveva diretto la Mostra prima di Alberto Barbera: presenza giudicata non del tutto casuale. Nessuno ha finora pensato a Paolo Moretti, ex direttore della Quinzaine a Cannes, ora curatore del Cinema per la Fondazione Prada.  
     

Il sistema di prenotazioni (obbligatorie) è partito male, poi è arrivato lo sfottò: “Per facilitare gli accreditati aprirà alle sei e mezza del mattino invece che alle sette”. Pare congegnato per impedire la scoperta di film interessanti fuori concorso. Quando la voce si sparge, e uno cerca di prenotarli, son sempre “non disponibili”. Trovato uno strapuntino, vicino al soffione dell’aria condizionata a temperatura polare, molti sono i posti vuoti.

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