Cate Blanchett. Foto LaPresse

Cannes dichiara guerra a Netflix

Mariarosa Mancuso

In concorso vanno solo i film che non disdegnano l’uscita in sala. Ma c’è posto pure per quelli brutti

Il direttore di Cannes Thierry Frémaux ha rischiato di perdere il posto. Non è un pettegolezzo. Lo ha scritto Première e prima ancora Screen Daily, siti che vanno piuttosto cauti con i virgolettati. Ha rischiato di perderlo per avere nel 2017 spalancato le braccia a Netflix senza ricevere nulla in cambio. Da qui la nuova regola: in concorso vanno solo i film che non sdegnano l’uscita in sala. Per un quadro completo della situazione, bisogna sapere che in Francia se un film esce al cinema poi bisogna aspettare 36 mesi – tre anni – per poterlo trasmettere su una piattaforma streaming. Su questo bisognerebbe lavorare. Sulle cosiddette “finestre”: stabilite quando nessuno immaginava lo streaming. Neppure i ricchi investimenti necessari per procacciarsi i prodotti che generano abbonamenti. D’altra parte, se Netflix dà a Martin Scorsese 140 milioni di dollari per girare “The Irishman”, non gli fa certo schifo se il regista viene premiato a Cannes. Il contratto sottoscritto con il venerato maestro ha un codicillo che garantisce l’uscita in qualche sala Usa. Quindi il margine per negoziare ci sarebbe, e il ceo Reed Hastings (parlando in terra francese, era a Lille per Seriesmania) ha ammesso qualche errore.

  

Per ora i contendenti si studiano. Dalla passerella che accoglie i film in concorso, Netflix scende al piano inferiore, dove si tiene il Marché aperto ai buyer e vietato ai giornalisti: compra film pronti e stringe accordi di coproduzione. Potrebbe estrarre il libretto degli assegni anche per “Todos los saben” di Ashgar Farhadi, con Penelope Cruz e Javier Bardem, che ha aperto ieri il Festival. Nessun regolamento vieta di acquisire per la distribuzione titoli già presentati in concorso (siccome le nuove regole oltre al divieto di selfie sul tappeto rosso hanno eliminato le anteprime per il giornalisti, sapremo domani se l’incursione del regista iraniano in terra spagnola è riuscita oppure no).

  

Servirà qualche mese per capire se “Roma” di Alfonso Cuàron o “Norway” di Paul Greengrass – che da Cannes mancano causa Netflix – sono davvero capolavori annunciati capaci di dare lustro al festival più importante del mondo. O se Netflix pur di fare catalogo e schiacciare la concorrenza ha criteri più generosi di un produttore vecchia maniera. Servirà qualche mese anche per capire se davvero riusciranno a trionfare sull’algoritmo che segmenta il pubblico per meglio coccolarlo con cose già viste.

  

“Senza le star e senza Netflix, il Festival di Cannes ancora conta?”. Il titolo, non propriamente beneaugurante, era su Variety. Accanto alla lista dei titoli che avrebbero dovuto essere in programma e non ci sono, indipendentemente dalla guerra con Netflix. Per esempio “First Man” di Damien Chazelle (su Neil Armstrong che mise piede sulla luna). O “The Sister Brothers”, film americano tratto dal romanzo ”Arrivano i Sister” di Patrick Dewitt e diretto da Jacques Audiard: nel 2015 vinse la Palma d’oro con “Dheepan”. Da soli, mettono insieme più star di quante se ne vedranno in questo festival di Cannes: Joaquin Phoenix, Ryan Gosling, Jake Gyllenhaal. Sì, son maschi, questo passa il convento.

  

Cannes cade di maggio, presto per tirare la volata agli Oscar. Funzionano meglio i festival settembrini: Venezia, Telluride, Toronto. L’Academy ha la memoria corta. I film si bruciano in fretta, qualche mese e sembrano già vecchi. Anche in questa accelerazione, Netflix ha la sua responsabilità: servono esche per attirare gli spettatori che finora non hanno fatto l’abbonamento, e per dare agli abbonati la certezza dell’affare (“costa meno di un biglietto, guarda quanta roba che mai avrò il tempo di vedere”).

  

Il cinema dà qualche grattacapo. Resta la giusta causa. Un numero verde – in accordo con Marlène Schiappa, ministro delle Pari opportunità – attende chi al Festival di Cannes subisce molestie, o chi delle molestie è testimone. Cate Blanchett presiede la giuria, spartita tra quattro femmine e quattro maschi. Un finto biglietto da serata di gala ricorda che nulla resterà impunito: #nerienlaisserpasser. Tranne i brutti film.

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