La guerra tra Netflix e Cannes non ha niente a che vedere con il cinema

Mariarosa Mancuso

E’ un braccio di ferro tra il festival più celebre del mondo e la piattaforma più grande del mondo. I film in lizza per la Palma d'oro

Inutile sprecare troppe parole. La guerra tra Netflix e Cannes non ha niente a che vedere con l’idea di cinema, né presente né futuro. Il cinema non si fa cambiare tanto facilmente, il collaudo è durato abbastanza a lungo, ogni volta che qualcuno minaccia la rivoluzione tira fuori per lo più inguardabili spiacevolezze (il “per lo più” lo abbiamo messo per decenza&prudenza, ma non viene in mente un’eccezione). E’ la guerra commerciale tra due contendenti decisi a vender cara la pelle.

 

E’ un braccio di ferro tra il festival più celebre del mondo e la piattaforma più grande del mondo, a cui però non spiacerebbe affatto portare a casa una Palma d’oro (anche gli scrittori di bestseller in cuor loro si struggono sognando l’abbraccio dei critici). Cannes l’anno scorso aveva accettato in gara due film Netflix: nessuno possiede la ricetta per vincere la guerra, si va per tentativi. La sperimentazione non ha funzionato. Non per le proteste cinefile e passatiste. Perché con il senno di poi “Okja” e “The Meyerowitz Stories” avevano molto più potenziale di quello rimasto impigliato nelle trappole dell’algoritmo. Questo lo sa Thierry Frémaux direttore di Cannes e lo sa anche Ted Sarandos, responsabile dei contenuti Netflix. Presto lo capiranno anche i registi come Alfonso Cuarón, prima vittima della guerra con il suo film “Roma”.

 

Per questo a Cannes 2018 (dall’8 al 19 maggio) ci saranno pochi film americani nella Selezione Ufficiale – vale a dire il concorso e il Certain Regard – e invece una ricca rappresentanza orientale. Relativamente pochi anche gli europei, con l’eccezione dei francesi. Apre l’iraniano Ashgar Farhadi di “Una separazione”, con “Todos lo saben”, ambientato a Madrid e parlato in spagnolo, le star sono Penelope Cruz e Javier Bardem. Ormai il regista segue i finanziamenti e si tiene ben lontano dall’Iran, dove continua a passare i suoi guai Jafar Panahi. E’ riuscito a girare lo stesso un film, come già dagli arresti domiciliari. Titolo internazionale “Three Faces”, accolto in concorso con tutti gli onori. L’altro caso politico – appropriazione indebita di fondi pubblici – è il russo Kirill Serebrennikov, anche lui in gara con “Leto”, l’estate.

 

 

Corrono per la Palma d’oro Matteo Garrone con “Dogman” (ispirato al Canaro) e Alice Rohrwacher con “Lazzaro felice”. Nella sezione Un Certain Regard, gareggia “Euphoria” diretto da Valeria Golino. Tra color che son sospesi – l’anno scorso dopo la conferenza stampa fu aggiunto “The Square” di Ruben Östlund, che poi vinse – troviamo Paolo Sorrentino con il suo film uno e bino, “Loro” (ve l’avevano già detto che è su Silvio Berlusconi?). E Lars von Trier con “The House That Jack Built”. Se troveranno una formula per riammettere chi fu dichiarato “persona non grata” una decina di anni fa. Punto a favore del danese: nel suo film recita Uma Thurman, diva in quota “#MeToo”.

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