Foto Epa, via Ansa

Il vino italiano è rinato europeo

Giovanni Battistuzzi

Le polemiche del ministro Lollobrigida e di Coldiretti contro l'Europa si dimenticano della rinascita del settore dopo lo scandalo metanolo. “E’ un prodotto che ben più degli altri ha bisogno di un ambiente allargato, capace di stimolare la curiosità e di qualcuno che permetta che questo avvenga in modo sicuro”, ci dice Annette Hilberg di Hilberg Pasquero

Di buon vino in Italia se ne beve almeno da inizio Novecento, di eccellenze ammirate in tutta Europa si ha notizia almeno da metà Ottocento. Eppure il vino italiano a un certo punto della storia era diventato un problema per il cosiddetto made in Italy, non un vanto. Basta ritornare con la memoria al marzo del 1986, quando un manipolo di persone senza scrupoli utilizzò quantità elevate di metanolo per alzare la gradazione alcolica ai propri vini da tavola, rendendoli veleno. Il vino italiano negli anni successivi era visto con sospetto, il mercato interno era crollato, così come le esportazioni, tutto sembrava perduto. E’ stato a quel punto che l’Italia si è imposta nuove regole e nuove forme di controllo. Regole e controllo in parte suggeriti dall’Unione europea. Da un lato c’è stato l’impegno dei viticoltori a non ripetere gli stessi errori, di ripartire puntando sulla qualità. Da allora si produce di meno, da 76,8 a 47,4 milioni di ettolitri, ma meglio: i vini Doc e Docg erano il 10 per cento della produzione, oggi sono il 35 (con gli Igt, nati dopo, si arriva al 66 per cento). Una vicenda orribile trasformatasi in una storia di successo. Dall’altro lato, l’Europa ha “costretto” l’Italia a dare maggior peso ai consorzi di tutela (che già esistevano) e imposto un regolamento più stringente (soprattutto dopo la riforma del 2013 della Politica agricola comune) per salvaguardare la qualità delle nostre Indicazioni geografiche tipiche sia nel mercato europeo sia in quello mondiale, riducendo così la possibilità di sofisticazioni e falsificazioni.

 

Il vino stesso è storia condivisa: “Perché il vino è scambio. Di cultura, di sapere, di conoscenza applicata. Si è evoluto e continua a evolversi grazie allo studio di cosa è stato fatto, all’ascoltare cosa hanno da dire gli altri produttori”, dice al Foglio Annette Hilberg, comproprietaria con il marito Michele Pasquero e i figli della azienda agricola Hilberg Pasquero a Priocca, Cuneo. “E’ un prodotto che ben più degli altri ha bisogno di un ambiente allargato, capace di stimolare la curiosità e di qualcuno che permetta che questo avvenga in modo sicuro”. Annette Hilberg è tedesca, produce vino in Italia, sa benissimo che il vino “è contaminazione culturale, adattamento dell’uomo ai cicli della terra, rispetto per il territorio, per le piante, per l’ambiente, perché solo da questo connubio può uscire un buon vino”.

 

Il vino è un vanto per il made in Italy, ma il made in Italy non può trasformarsi in una gabbia per il vino. Perché non c’è “un’ondata neo proibizionista” (a dire del ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida) e l’Europa non vuole “attaccare con ripetuti blitz a livello comunitario che penalizzano il settore” del vino italiano (a dire di Coldiretti).

 

Le polemiche di questi giorni sono dirette alla decisione dell’Irlanda di inserire nelle etichette di vino, birra e liquori un’avvertenza dei pericoli che provoca l’uso di alcol. Sul tema il Parlamento europeo ha trovato un compromesso che introduce maggiori informazioni sulle bottiglie, ma senza riferimenti ad avvertenze sanitarie. “E anche questa può essere un’opportunità”, spiega Annette Hilberg. “Perché è nell’interesse di tutti distinguere fra il consumo e l’abuso, fra il bere sregolato e il consumo intelligente. Soprattutto di bevande prodotte da viticoltori che con i loro vini trasmettono tradizione, cultura, condivisione sociale, sostenibilità ambientale. Il vino è un prodotto nobile che va bevuto con intelligenza, e se è così non arreca danni. Anzi”.

 

Il vino non fa male, a patto di non abusarne. “Certo, le regole generali, quelle che non fanno distinzione tra le varie realtà italiane ed europee a volte possono creare problemi, ma è meglio che ci siano piuttosto che non ci siano affatto. Perché quantomeno tutelano sia il consumatore, sia il produttore”, continua Annette Hilberg. Se il vino è cultura, come si è soliti dire, serve garantire che questa cultura sia portata avanti in modo consapevole.

 

E’ dannoso soprattutto pensare di considerarsi autonomi e di pensare a se stessi come a dei perseguitati. “Per fare un buon vino c’è bisogno di tempo, di riflessione sugli errori fatti, sui campi e in cantina. C’è bisogno dell’umiltà di dire ‘ho sbagliato’ e porre rimedio ai propri errori”, sottolinea Annette Hilberg. E’ la storia del vino italiano, che ha dovuto sbattere il muso contro il baratro, per diventare un’eccellenza.

Di più su questi argomenti: