Il Papa proclama il dogma ecologista

Francesco firma l'esortazione apostolica sulla crisi climatica, "Laudate Deum". La colpa è dello "stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale”. Elogi per la Cina

Matteo Matzuzzi

E’ un documento che non richiama in alcun modo la trascendenza, Dio non c’è nel profluvio di analisi sui “progressi e fallimenti” delle Conferenze sul clima.  “L’origine umana – ‘antropica’ – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio”, scrive il Pontefice, prendendosela con i negazionisti

Chissà se anche stavolta arriverà il chiarimento del prefetto del dicastero per la Dottrina della fede, il cardinale Víctor Manuel Fernández, a spiegare in cosa consiste l’aggettivo “apostolica” posto accanto a “esortazione”. Ieri è stato diffuso Laudate Deum, l’atteso sequel della Laudato Si’, che però era un’enciclica e comprendeva nella sua struttura anche accenni all’ecologia integrale, ai drammi che riguardano gli scartati (giovani e vecchi), all’aborto. In Laudate Deum non c’è niente di tutto ciò: è solo un manifesto politico che ha come imputato l’uomo. E’ lui il colpevole di quasi tutto, è lui che nega la crisi climatica, è lui che non vuole accorgersi dei “lamenti della terra” (paragrafo 5). “L’origine umana – ‘antropica’ – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio”, sentenzia il Papa aprendo il capitolo relativo alle “cause umane”. Se la prende, Francesco, con quelle “persone che hanno cercato di minimizzare” la situazione: “Citano dati presumibilmente scientifici, come il fatto che il pianeta ha sempre avuto e avrà sempre periodi di raffreddamento e riscaldamento. Trascurano di menzionare un altro dato rilevante: quello a cui stiamo assistendo ora è un’insolita accelerazione del riscaldamento, con una velocità tale che basta una sola generazione per accorgersene” (par. 6). E spiega che è “costretto a fare queste precisazioni, che possono sembrare ovvie, a causa di certe opinioni sprezzanti e irragionevoli che trovo anche all’interno della Chiesa umana”. Qui Francesco si lascia andare a considerazioni sul fatto che “non possiamo più dubitare che la ragione dell’insolita velocità di così pericolosi cambiamenti sia un fatto innegabile: gli enormi sviluppi connessi allo sfrenato intervento umano sulla natura negli ultimi due secoli” (par. 14). La fonte? Il rapporto di sintesi dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc). A seguire, una sequela di dati, numeri, spiegazioni sulla portata delle emissioni e di calcoli che paiono un saggio di fisica condito dagli slogan dei movimenti che occupano le strade e manifestano per le vie cittadine protestando per i ghiacciai che si sciolgono e gli aerei che inquinano. Esagerazione? Mica tanto: “Attirano spesso l’attenzione, in occasione delle conferenze sul clima, le azioni di gruppi detti ‘radicalizzati’. In realtà, essi occupano un vuoto della società nel suo complesso, che dovrebbe esercitare una sana pressione, perché spetta ad ogni famiglia pensare che è in gioco il futuro dei propri figli” (paragrafo 58).

 

E’ un documento che non richiama in alcun modo la trascendenza, Dio non c’è nel profluvio di analisi sui “progressi e fallimenti” delle Conferenze sul clima. Il Papa poi si fa esperto di climatologia e avverte (paragrafo 8) che “la mancanza di informazioni porta a identificare le grandi proiezioni climatiche riguardano periodi lunghi – si tratta almeno di decenni – con le previsioni meteorologiche che possono coprire al massimo qualche settimana. Quando parliamo di cambiamento climatico ci riferiamo a una realtà globale – con costanti variazioni locali – che persiste per diversi decenni”. Ma è anche un documento che di rigoroso non ha nulla: Francesco scrive (paragrafo 13) che “la coincidenza di questi fenomeni climatici globali con la crescita accelerata delle emissioni di gas serra, soprattutto a partire dalla metà del XX secolo, non può essere nascosta”. Fonti? “La stragrande maggioranza degli studiosi del clima sostiene questa correlazione e solo una minima percentuale di essi tenta di negare tale evidenza”. Rimando a una nota, a un testo, a un’evidenza scritta? Nessuna. Pourparler da talk-show. Non sono ammesse repliche nella riflessione di Bergoglio: è così e basta e “l’evoluzione delle temperature medie della superficie non può essere spiegata senza l’effetto dell’aumento dei gas serra”. Seguono ragionamenti su “l’acidificazione e la riduzione dell’ossigeno”, con il monito sul fatto che “le altre creature di questo mondo hanno smesso di esserci compagne di viaggio e sono diventate nostre vittime” (par. 15). Qua e là spuntano accenti di terzomondismo e peronismo d’antan: “Speriamo che quanti interverranno siano strateghi capaci di pensare al bene comune e al futuro dei loro figli, piuttosto che agli interessi di circostanza di qualche paese o azienda. Possano così mostrare la nobiltà della politica e non la sua vergogna. Ai potenti oso ripetere questa domanda: ‘Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo?’” (par. 60).
 

E quando si tratta di citare esplicitamente uno di questi paesi “peccatori”, il Papa lo fa: gli Stati Uniti, l’ossessione del primo Pontefice venuto dal sud del mondo: “Se consideriamo le emissioni pro capite negli Stati Uniti sono circa il doppio di quelle di un abitante della Cina e circa sette volte maggiori rispetto alla media dei paesi più poveri, possiamo affermare che un cambiamento diffuso dello stile di vita irresponsabile legato al modello occidentale avrebbe un impatto significativo a lungo termine” (par. 72). La Cina come esempio di responsabilità in campo ecologico, dunque. Ventisette citazioni su quarantatré sono di documenti di Papa Francesco, l’unico altro Pontefice richiamato in una nota a piè di pagina è Paolo VI (il suo discorso alla Fao del 1970). Il resto consiste in documenti dell’Onu e di altre organizzazioni dedite alla causa ambientalista. Una volta, paradossalmente, viene richiamato pure Solov’ëv, e proprio per il suo racconto dell’Anticristo. Chissà cosa avrebbe pensato oggi il grande filosofo e teologo russo. Soprattutto sulla colpevolizzazione dell’uomo: “Lo scioglimento dei poli non può essere invertito per centinaia di anni. Per quanto riguarda il clima, ci sono fattori che permangono a lungo, indipendentemente dagli eventi che li hanno scatenati. Per questo motivo, non possiamo più fermare gli enormi danni che abbiamo causato. Siamo appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici” (par. 16). Quindi, l’immagine un po’ esotica che spesso si porta: “Un ambiente sano è anche il prodotto dell’interazione dell’uomo con l’ambiente, come avviene nelle culture indigene e come è avvenuto per secoli in diverse regioni della Terra. I gruppi umani hanno spesso ‘creato’ l’ambiente” (par. 27).

 

Ieri mattina, intanto, sul sagrato di Piazza San Pietro è stata celebrata la messa d’apertura del Sinodo, i cui lavori sono iniziati nel pomeriggio. Dopo l’intervento di Francesco, che ha ribadito come al centro ci debba essere lo Spirito e non le ideologie (“Non è un Parlamento!”, ha ribadito), hanno preso la parola il segretario generale, il cardinale Mario Grech, e il relatore generale, il cardinale Jean-Claude Hollerich. Quest’ultimo ha concluso il suo intervento illustrando il percorso che attende la Chiesa: “Il mio auspicio è che durante questo mese di lavoro possiamo elaborare una road map per l’anno prossimo, da affidare poi al Santo Padre. Idealmente, questa road map dovrebbe indicare i punti in cui sentiamo che è stato raggiunto un consenso tra di noi e soprattutto all’interno del Popolo di Dio, identificando i possibili passi da intraprendere come risposta alla voce dello Spirito. Ma dovrebbe anche dire dove è necessaria una riflessione più profonda e che cosa potrebbe favorirla”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.