la storia

Il papabile mai diventato Papa

Il cardinale anglo-spagnolo resta una figura misteriosa e poco indagata, benché sia stato un grande protagonista della vita della Chiesa del primo Novecento. Ha servito quattro Papi, di uno è stato segretario di stato. In due conclavi è stato papabile, soprattutto in quello del 1922

Matteo Matzuzzi

Rafael Merry del Val, giovanissimo segretario di stato di Pio X, servì quattro Papi. Per due volte fu vicino all'elezione, ma non ci arrivò mai. Una biografia

Tu sai che io amo molto Pio X e l’ho sempre amato... Un Papa mite e forte. Un Papa umile e chiaro. Un Papa che fece capire a tutta la Chiesa che senza eucaristia e senza assimilazione delle verità rivelate, la fede personale si affievolisce e muore”. Parole di Papa Francesco, nella Prefazione al libro Omaggio a Pio X. Ritratti coevi (Edizioni Kappadue), scritto da don Lucio Bonora, officiale della Segreteria di stato. Pio X, il Papa della lotta al modernismo che una narrazione melensa ha sovente ridotto a buon parroco di campagna eletto al Soglio di Pietro  era una in realtà delle figure eminenti dell’episcopato dell’epoca. Appena eletto, scelse come proprio braccio destro un giovane diplomatico che le circostanze avevano voluto fosse il segretario del Conclave, Rafael Merry del Val. Sarto fu restio ad accettare, ma quando il consenso si stringeva sul suo nome, fu quasi ammonito a non mettersi contro la volontà divina. E il decano mandò proprio quel giovane officiale a fare un ultimo tentativo con l’allora Patriarca di Venezia: “Le sole parole che ebbi la forza di pronunciare, e che mi vennero spontanee sulle labbra, furono: ‘Eminenza, si faccia coraggio, il Signore l’aiuterà’. Il cardinale mi fissò attentamente con quel suo sguardo profondo che in seguito, per un’ammirabile disposizione della Provvidenza, avrei dovuto imparare a conoscere così bene e aggiunse semplicemente: ‘Grazie, grazie!’”, dirà più tardi Merry del Val che, scrive Roberto De Mattei in Merry del Val. Il cardinale che servì quattro Papi (Sugarco edizioni), “non avrebbe mai raccontato di essere stato lui a convincere il Papa, ma il suo ruolo fu certamente decisivo e in quel momento, ai piedi della Madonna del Buon Consiglio, si stabilì un tacito patto tra il cardinale e il giovane monsignore”. 

 

Rafael Merry del Val resta una figura misteriosa e poco indagata, benché sia stato un grande protagonista della vita della Chiesa del primo Novecento. Ha servito quattro Papi, di uno è stato segretario di stato. In due conclavi è stato papabile, soprattutto in quello del 1922. Quella di De Mattei è la prima biografia del diplomatico anglo-spagnolo storicamente documentata e non segnata dal taglio apologetico che  caratterizzava alcuni testi pubblicati pochi anni dopo la morte di Merry del Val finalizzati un po’ a sostenere la causa di beatificazione di Pio X e un po’  quella del suo segretario di stato. Diversi volumi sono usciti in nove decenni, ma è questa l’opera che scava a fondo negli archivi, compresi quelli vaticani e di vari dicasteri curiali. Ne esce il ritratto di un uomo sì di governo, capace di districarsi obbediente tra gli incarichi che i Pontefici gli assegnavano – e non sempre corrispondenti ai suoi desideri, dato che la sua massima ambizione era quella di fare il parroco, come scriverà più volte – ma al contempo pio e dedito alla conquista delle anime. Nominato presidente dell’Accademia dei nobili ecclesiastici, non si sottrasse mai alla vita di comunità: lo si trovava ogni mattina in cappella a guidare le meditazioni ma condivideva con gli studenti anche i momenti di svago, “giocava al bigliardo con noi e lui era sempre il più bravo a colpire”, dirà uno di loro. Non avrebbe mai pensato di diventare segretario di stato, fu una sequela di eventi non pronosticabili a farlo finire in Sistina nel 1903 e a fargli conoscere Sarto. La sera stessa dell’elezione, quando andò a congedarsi dal neoeletto Pio X, questi gli disse: “Monsignore, mi vuole abbandonare? Resti con me, non ho deciso nulla ancora. Non so cosa farò, per ora non ho nessuno. Rimanga con me come pro segretario di stato: poi vedremo. Mi faccia questa carità”. Un paio di mesi più tardi, Merry del Val divenne segretario di stato a tutti gli effetti con porpora cardinalizia annessa. Si completavano a vicenda e sarà proprio lo stesso Pontefice a dirlo al cardinale Mathieu: “L’ho scelto perché è un poliglotta: parla correntemente cinque o sei lingue. Nato in Inghilterra, cresciuto in Belgio, diplomatico a Vienna. Spagnolo di nazionalità, conosce già gli affari di molti paesi. Viene qui ogni mattina e mi racconta le notizie da tutto il mondo. Io gli do la mia opinione e lui non azzarda un’osservazione”. Un binomio inscindibile, fino alla fine: “Il colpo è stato terribile per me, e il mio cuore è quasi spezzato. Vedi, io lo amavo con ogni fibra della mia anima. Egli era più che un padre per me, e mi sembra di non poter vivere senza di lui. Era davvero un santo”, scriverà a un amico un mese dopo la morte di Papa Sarto. 

 

Merry del Val supporterà in toto la missione riformatrice che s’era imposto Pio X: instaurare omnia in Christo. Nonostante l’etichetta di “reazionario” che gli fu data anche da non disinteressati frequentatori dei palazzi vaticani, Sarto infatti “è stato uno dei più grandi pontefici riformatori della storia”, ha scritto Roger Aubert: difesa dell’ortodossia della Chiesa, ma anche tanta cura d’anime e sistemazione di una curia pontificia ancora poggiata sui fasti ormai sbiaditi dello stato pontificio. In curia, specie in quella legata a Rampolla, il giovane segretario di stato non piaceva troppo. Gli aspiranti alla carica erano tanti e tutti con un cursus honorum assai pregiato. Iniziarono a circolare voci sul fatto che Merry del Val s’approfittasse del Papa poco aduso alle questioni romane, che gli sussurrasse all’orecchio, che fosse lui il vero artefice della lotta senza esclusione di colpi al modernismo, la mente del giuramento imposto ai preti, l’organizzatore di un sistema volto a indagare su sacerdoti e monsignori di dubbia rettitudine (anche morale) e quindi di suggerire al Pontefice le decisioni conseguenti. Le chiacchiere da sagrestia giunsero fin a Pio X, che nel 1912 scriverà: “Quanti vanno propalando che sono tre cardinali che comandano (Vives, Merry e De Lai) sono di quegli esseri inqualificabili che non mancano mai nella Chiesa, i quali per sottrarsi all’ossequio doveroso, vogliono farsi la coscienza di non essere obbligati, perché non è il Papa che comanda”. 

E sarà proprio la battaglia contro il modernismo la prova più complessa che Pio X dovette affrontare in tutti gli anni del pontificato e dell’antimodernismo, ha scritto Giovanni Vian, “Merry del Val fu un solerte promotore”. Il modernismo, disse uno dei suoi protagonisti, Albert Houtin (che nel 1912 lascerà l’abito talare), “può essere definito come il desiderio di adattare una religione alle esigenze intellettuali, morali e sociali del suo tempo”. Davanti alle campagne calunniose e a quanti chiedevano più tolleranza verso un cristianesimo aperto alle esigenze del mondo contemporaneo, Merry del Val tagliava corto: “La lotta è semplicemente e unicamente la lotta per il cristianesimo, per Dio e per la religione in tutto il mondo. Non c’è un briciolo di politica nell’atteggiamento della Santa Sede, ma siamo venuti ai ferri corti con l’incredulità e la blasfemia e dobbiamo combatterla”. Scrive De Mattei a proposito dell’enciclica Pascendi che “il nucleo del modernismo, per san Pio X, non consiste tanto nell’opposizione all’una o all’altra delle verità rivelate, ma nel cambiamento radicale della nozione stessa di verità, mediante l’accettazione del principio filosofico di immanenza che assume l’esperienza come assoluto ed esclude ogni realtà trascendente”. 
Inevitabile, dunque, che la battaglia antimodernista fosse motivo di scontro nel Conclave del 1914 seguito alla morte di Papa Sarto, avvenuta mentre le truppe tedesche entravano a Bruxelles. Si trattava d’una elezione complicata perché alle ragioni spirituali e pastorali si sommavano quelle diplomatiche: la guerra mondiale s’era rapidamente estesa in Europa, i cardinali dei paesi coinvolti (e pure i nunzi) venivano scartati a priori per non compromettere la Chiesa.

 

Merry del Val, a dispetto dell’età giovane (49 anni) era l’ideale prosecutore della linea di Pio X. Se non fosse che il gruppo della continuità era sì compatto ma minoritario: “I cardinali De Lai, Pompili e Merry del Val hanno eseguito con durezza, spesso con bruschezza, gli augusti disegni del buon Pio X e hanno suscitato intorno alla sua memoria un vento di impopolarità”, scriverà il cardinale Mercier, che subito s’accorgerà a Roma della forza del gruppo “anti integrista” che voleva attenuare – se non fermare del tutto – la battaglia portata avanti dal Pontefice defunto. Il Conclave fu uno scontro totale da derubricare il “mi vogliono morto” detto da Papa Francesco a facezia priva dunque d’ogni torbido significato implicito. Alleanze che si componevano e si scioglievano, candidati “veri” tenuti al riparo dai primi scrutini per saggiare gli umori degli incerti, il cardinale De Lai che si faceva alfiere del partito “piano”. Dall’altra parte, i fautori della discontinuità scartavano subito le personalità più forti, a partire da Pietro Gasparri, che non legherà mai con Merry del Val. Alla fine, la strategia soft, che consisteva nel proporre il mite Giacomo Della Chiesa, diplomatico e officiale di curia nonché arcivescovo di Bologna, risultò vincente. Fu eletto con 38 voti, esattamente il quorum richiesto. Al che si dovette procedere alla verifica della preferenza accordata dall’eletto: all’epoca, le schede erano segnate proprio per controllare che l’eletto non si fosse autovotato, il che avrebbe comportato l’annullamento della votazione. Il cardinale Piffl, nel suo diario, scrive che fu De Lai a chiedere immediatamente la verifica. Ma la sua linea era sconfitta

 

Benedetto XV nominò subito Domenico Ferrata segretario di stato – morì pochi mesi dopo e fu sostituito da Gasparri – e a Merry del Val furono concesse quarantott’ore per lasciare il proprio appartamento e trasferirsi in quello da arciprete della Basilica vaticana (carica che già ricopriva). Il cardinale anglo-spagnolo, ormai non più a stretto contatto con il Vicario di Cristo, scriverà al cardinale O’Connell: “Ho cercato di fare del mio meglio nella mia posizione che ho avuto l’onore di ricoprire per undici anni difficili e impegnativi, sono solo troppo felice ora di essere sollevato da una tensione che dubito di poter sopportare ulteriormente; lascerò il Vaticano senza rimpianti e la tranquillità di Santa Marta sarà un gradito sollievo”. Più tardi, quando Benedetto XV lo nominò segretario del Sant’Uffizio e lui accetterà “con grande riluttanza”, annoterà: “Ho perso il Santo Pontefice e Padre a cui avevo donato senza riserve tutta la forza della mia anima e che ho amato come si può amare solo una volta nella vita. Dio veglierà sulla sua Chiesa, ma la mia perdita personale è irreparabile”. 

 

Ma il Conclave in cui Merry Del Val poteva davvero giocarsi più di una possibilità sarebbe stato quello del 1922, convocato alla morte di Papa Della Chiesa. Stavolta l’uomo più potente della curia non era lui, ma il suo sommo antagonista, il “cardinale pecoraro” (così fu definito per le sue umili origini) Pietro Gasparri. La partita era di quelle cruciali e non a caso Gasparri definì quel conclave “uno dei più contrastati della storia” – con un po’ di esagerazione, nota De Mattei. Gli osservatori interni vedevano in difficoltà il partito di Benedetto XV, mentre l’opposizione piana poteva contare “su almeno un terzo” dei cardinali. Le ipotesi erano tutte per un Papa di  mediazione. Entravano in Sistina fattori esterni: mons. Benigni, grande organizzatore del Sodalitium pianum, chiarisce che il Partito Popolare e l’Internazionale Bianca avevano messo il veto su tre cardinali: Merry del Val, De Lai e Boggiani.  Gli animi erano così concitati che Benigni arrivò a proporre un “piano per la difesa cattolica al Conclave”, con la candidatura fin dal primo scrutinio di Merry del Val. Non si trattava di una candidatura di bandiera: andava dichiarato che “essa deve essere un’affermazione di principio in omaggio ai veri interessi della Chiesa”. Se non fosse andata in porto l’operazione, bisognava cercare l’accordo “che salvi almeno da continuare il regime ora terminato”. Gli scrutini che si susseguirono mostravano due linee, scrisse il cardinale Piffl: “La ricomparsa dei vecchi integristi guidati da Merry del Val” e “la continuazione della politica di Benedetto XV, per la quale il candidato è Gasparri”. La battaglia fu durissima. In un primo momento sembrava che il progetto delineato da Benigni potesse avere successo, ma la soglia necessaria alla fumata bianca era ancora lontana. E qui Gasparri fu lesto nel concentrare il proprio pacchetto di voti sul cardinale Achille Ratti, arcivescovo di Milano da pochi mesi e ignoto ai più. Ma non a Gasparri che – scrive De Mattei – “aveva pensato di farne il suo uomo nel caso di fallimento della propria candidatura”. E Gasparri si mosse con molta simulazione, tant’è che solo in un secondo momento il pur scafato De Lai si accorse che dietro Ratti c’era Gasparri. Questi, nelle sue memorie, ha scritto che – intuita la piega che stava prendendo il Conclave – De Lai si sarebbe recato da Ratti garantendogli i voti del proprio gruppo a patto che non avesse confermato Gasparri quale segretario di stato. Gasparri accusò dunque De Lai e Merry del Val di essere incorsi nella scomunica latae sententiae per aver cercato di condizionare l’esito delle votazioni. Una ricostruzione non confermata dalle altre fonti. Pare verosimile, invece, che De Lai abbia chiesto informazioni all’arcivescovo di Milano su chi volesse nominare segretario di stato, temendo – lui e i cardinali piani – una prosecuzione del “regno” gasparriano. Racconta l’ambasciatore Francesco Taliani che “ci fu chi dichiarò di appoggiare la candidatura Ratti alla condizione che il Gasparri rinunciasse formalmente alla carica di segretario di stato. E Gasparri prese subito l’impegno che gli veniva richiesto, con letizia, senza formulare la minima riserva, e rimise nelle mani di un cardinale indipendente, il Giorgi, una sua esplicita dichiarazione”. Dichiarazione divenuta carta straccia non appena Ratti fu eletto Papa, che infatti lo confermò segretario di stato. Era la seconda sconfitta del gruppo legato al pontificato di Pio X. Merry del Val, dando poca importanza alla cosa, commentò: “Il pericolo è stato molto breve”. Con Pio XI i rapporti furono cortesi, ma segnati dal forte carattere del Pontefice: riteneva che “a comandare bastava lui, il Papa. Non si lasciava prendere la mano da nessuno, considerando dicasteri e officiali di curia come esecutori delle superiori disposizioni”, ricorderà il cardinale Carlo Confalonieri. Ne avrebbe fatto le spese lo stesso Gasparri, che nel 1929 fu sostituito da Eugenio Pacelli, e non la prese bene: vide in ciò la vittoria del partito piano. 

 

Il 24 febbraio del 1930, a sera, Rafael Merry Del Val si sentì male. Gli fu diagnosticata un’appendicite acuta che richiedeva un’operazione chirurgica. Tutto fu predisposto al meglio nella palazzina di Santa Marta, ma durante l’intervento, morì. Forse a causa di un errore dell’anestesista, forse per mera fatalità. Non pochi – tra cui il fidatissimo mons. Nicola Canali, poi cardinale – parlarono di morte procurata. Il mistero è rimasto tale. Nel suo testamento spirituale, chiese di essere sepolto nelle Grotte vaticane, il più vicino possibile a Pio X, il Papa che aveva tanto amato e servito. Pio XI acconsentì e dispose che così fosse fatto.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.