Papa Francesco (foto di Andrew Medichini per Ap, via LaPresse)  

L'editoriale dell'elefantino

Il funerale del catafalco e l'incomprensibile diffidenza del Papa verso il sacro

Giuliano Ferrara

La Chiesa insiste nell'omologarsi al costume corrente. Ma se il Papa è come noi, come fa a esprimere da vicario chi disse che il suo regno non è di questo mondo?

Posso sbagliarmi, non esiste un dogma dell’infallibilità quanto alle opinioni, che sono anzi cosa modesta, ma la diffidenza di questo Papa verso il sacro ha qualcosa di incomprensibile. Un certo grado di separazione dal mondo spirituale, simbolico e materiale, dal secolo, dalla vita ordinaria di uomini e donne andrebbe mantenuto. Il funerale del catafalco alle esequie papali, lontane quanto Dio vorrà, è uno dei modi, secondo Francesco, per avvicinare al pubblico normale dei fedeli le usanze della Chiesa: una bara come tutti, è l’auspicio, perché anche e forse soprattutto in senso cristiano “uno vale uno”. Lo stesso per il segreto del Conclave: Scola spostò i suoi voti sul mio nome, ha detto il Pontefice in un’intervista. 


Da esterno alle procedure e alle regole scritte e non scritte della cattolicità, senza indulgere a un estetismo tradizionalista, ho sempre trovato stupende, semplicemente stupende, le litanie dei santi, l’accorrere composto e dolente della folla alla visitazione del corpo regale del Papa trapassato, l’atmosfera cerimoniale solenne di un passaggio e di un paesaggio romani e universali unici, sospesi tra la morte e l’immortalità, elevati come elevato è un catafalco con le sue porpore, il suo sentore di altare umano e più che umano, al cospetto del mistero divino tra profumi di incenso, e so di non essere il solo.

Nei non credenti c’è un po’ del Credo, sebbene non in senso confessionale. Anche la “chiusura” del Conclave, che poi è l’apertura di un seggio elettorale particolare, una reclusione volontaria in attesa della venuta dello Spirito santo, contribuisce al fascino della cosa sacra o sacralizzata.

È comprensibile l’aggiornamento ecclesiastico, semper reformanda. Temperare un primato storico del vescovo di Roma con l’umanizzazione estrema e coerente dei messaggi urbi et orbi che da lui provengono, compreso quello estremo, quando “se ne fa un altro” secondo il proverbio, è una tentazione che ha anche del consolatorio, una realizzazione della prossimità del sacerdozio ai fedeli, come la rinuncia al latino della messa, come l’abbandono del triregno e della sedia gestatoria, come le scarpe ortopediche e l’intervista a getto continuo al posto dell’enciclica o dell’omelia. Molti pontefici da un certo tempo si sono cimentati con questa diminuzione simbolica del ruolo. Restano nondimeno belle le litanie, stuporosa l’evocazione dei secoli nella esposizione della salma candida come un sacrale dentice in bella vista. E resta il fatto, al quale forse i riformatori di un certo genere non riflettono abbastanza, che tutto si tiene. Prima ancora che di fede, di sensus fidei, è una questione di logica.


Le rivoluzioni a metà, che puntano sul protocollare e se ne infischiano della sostanza, sono destinate a funzionare a metà, quindi a non funzionare. Se il cardinale Scola per bocca del Papa è con i cardinali solo uno tra i grandi elettori, come nel collegio delle presidenziali americane, la processione che invoca la discesa dello Spirito santo per la decisione capitale della Chiesa su chi la debba ispirare e guidare non ha più altro che un senso esteriore. Se il Papa è uno di noi, deve essere trattato e seppellito come uno di noi, come fa a esprimere vicariamente chi disse che il suo regno non era di questo mondo? Va benissimo la sobrietà del francescanesimo, ma come si fa a dire il Credo cattolico e a impegnare la fede sulla parte sacra e immutabile della dogmatica cristiana, eucarestia compresa, ovviamente, quando la fiducia che la Chiesa richiede si denuda del suo paramento, della sua irraggiungibilità, e insiste nel disincarnarsi e omologarsi al costume corrente dando un calcio al catafalco e inchiodando prima del tempo la bara del Vicario? 
       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.