le parole di francesco

I vecchi rancori del Papa

Complotti e nemici ovunque. Così Francesco, un po' Re Lear, alimenta le chiacchiere che tanto ha detto di detestare

Matteo Matzuzzi

Il Papa ha deciso di anticipare il Giudizio promesso, dividendo la Chiesa in buoni e cattivi, pecore da una parte e capri dall’altra. Non c’è un campo intermedio, o si è con lui o si è contro di lui. È l’applicazione alla vita ecclesiale della massima peronista “al amigo, todo; al enemigo, ni justicia”. Agli amici tutto, ai nemici niente

Sciagurato chi pensava d’aver visto tutto ne “I due Papi”, con Jonathan Pryce/Papa Francesco esultante davanti alla tv per una partita di calcio e Anthony Hopkins/Benedetto XVI con il giubbotto bianco da benzinaio. Realtà parallela, si disse del film diretto da Fernando Meirelles, evoluzione dello “Habemus Papam” di Nanni Moretti, con i cardinali che giocano a pallavolo mentre l’eletto si sottopone a sedute di psicoanalisi. Un decennio abbondante dopo, un giorno sì e l’altro pure, la Chiesa finisce sui giornali o in tv per le confessioni di Francesco. Interviste, libri, racconti consegnati ai novelli aedi che ascendono alla suite di Santa Marta per raccogliere i ricordi sull’amata abuela, le vecchie zie, le origini piemontesi, la serietà della teologia argentina, il primo amore che non si scorda mai, la voglia di farsi missionario in Giappone eccetera. 
Alle madeleine romantiche o nostalgiche s’affianca la cupa analisi della cospirazione, con i saloni vaticani pieni di spie e lupi pronti a sbranare l’agnello, dei cardinali che “mi vogliono morto” ai racconti con qualche pecca di memoria sui conclavi del 2005, dove gli unici testimoni in grado di confermare le asserzioni papali o non possono farlo perché sono vincolati al segreto, o sono morti (il cardinale ultraconservatore Dario Castrillón Hoyos, stando alle confidenze di Francesco sarebbe stato il poco probabile capofila delle trame per eleggere diciannove anni fa Jorge Mario Bergoglio al Soglio petrino). 

 

Nell’ultimo libro da ieri in vendita in Spagna, “El Sucesor”, Francesco spiffera i segreti dei conclavi che l’hanno visto protagonista, rivelando che lui è stato il grande elettore di Benedetto XVI – il quale, dalle confidenze papali, esce come un nonno saggio ma un po’ sbadato e ostaggio della sua cerchia – e il suo nome era stato usato per fermare il cardinale bavarese (le testimonianze, compresa quella del cardinale Carlo Maria Martini, vanno però in tutt’altra direzione) e che nell’ultimo sarebbe stato addirittura Angelo Scola a chiedere (chissà se pubblicamente) di far convergere il consenso sull’arcivescovo di Buenos Aires. Ma questo è colore, anche se vedere il Papa che svela i retroscena di un momento così solenne e alto com’è il Conclave, che s’apre mentre si canta il Veni Creator Spiritus in Cappella Sistina, fa un certo effetto. Il punto è che il Papa ha deciso, in questa fase crepuscolare del suo pontificato, di anticipare il Giudizio promesso, dividendo la Chiesa in buoni e cattivi, pecore da una parte e capri dall’altra. Non c’è un campo intermedio, o si è con lui o si è contro di lui. E’ l’applicazione alla vita ecclesiale della massima peronista “al amigo, todo; al enemigo, ni justicia”. Agli amici tutto, ai nemici niente. Ovviamente, chi lo onora e non s’azzarda a dissentire, è annoverato tra le schiere dei beati. Per gli altri, dannazione, compatimento ed esposizione al pubblico ludibrio. Esemplifica bene questa divisione mons. Georg Gänswein, che morto Benedetto XVI è stato sfrattato dal Vaticano e rimpatriato senza alcun incarico. Sembrava finita lì: punizione, umiliazione e condanna all’oblio. Ma un anno dopo, Francesco non ha dimenticato e nell’ultimo libro dà sfogo al suo rancore evidentemente non sopito contro il segretario  reo di poca nobiltà e umanità. Certo, la pubblicazione del libro il giorno del funerale del Papa emerito è stato un boomerang, così come certi commenti evitabili contenuti in quelle pagine. Ma perché Francesco, a così tanto tempo di distanza, torna su episodi ormai consegnati alla storia o, meno aulicamente, agli archivi che nessuno aprirà più? Perché il Papa sente la necessità di far sapere a tutti che qualche cardinale andava dall’emerito Ratzinger avendo in animo di processare Bergoglio? Perché, alla stregua di Re Lear, evoca complotti, trame oscure e misteriose che hanno lui e lui solo come obiettivo? La comunicazione papale è simile a un flusso ininterrotto su TikTok, con Francesco che fornisce materiale ad abundantiam per rotocalchi da salone estetico e cene tra monsignori irrealizzati e dalla carriera monotona e inesorabilmente spezzata: quello parlava male di me, quell’altro voleva processarmi, quell’altro ancora tramava alle mie spalle. Se uno non sapesse che a dire ciò è il Papa, penserebbe alle solite lamentele della comare che si sfoga contro il palazzo mentre aspetta l’ascensore.

 

Qual è l’immagine che resta di tutto ciò? Di sicuro, un Papa che lotta – solo – contro chi frena la rivoluzione, il martire che incede sul terreno irto di ostacoli e trappole. E’ l’appello alle masse, al pueblo fidel. Io sono uno di voi, circondato da nemici – anni fa parlò di “pavoni” e “faraoni” che cercavano di frenarne l’indole riformatrice – e non ho bisogno di tramiti o di intermediari. Michele Serra ha scritto su Repubblica che questo Papa “piace sempre di più a un miscredente come me” e “chi detesta Bergoglio perché lo considera eterodosso e poco dogmatico, deve spiegare prima di tutto a se stesso cosa c’entra Dio con i troni, gli ori, la forma (controriformista) che fa della religione una replica del potere”. Serra ha ragione, è infatti tipico del miscredente il plaudire alle intemerate contro i corrotti e il commuoversi alla prospettiva di “bastonare i preti pedofili” e anche “i cardinali” (conversazione con Eugenio Scalfari, luglio 2014), andando in estasi per i toni dimessi dell’apparato un tempo “sovraccarico”. Ma poi, di mettere piede in una chiesa, non ci pensa nemmeno un secondo. Anni fa, il Papa disse che “le chiacchiere chiudono il cuore alla comunità, chiudono l’unità della Chiesa. Per favore, fratelli e sorelle, facciamo uno sforzo per non chiacchierare. Il chiacchiericcio è una peste più brutta del Covid! Facciamo uno sforzo: niente chiacchiere”. In un momento così delicato per la vita della Chiesa, divisa tra pecore e capri, l’insegnamento papale resta quantomai valido.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.