(foto LaPresse) 

La croce dei nuovi martiri

Minacciati, cacciati, uccisi. Dall'Africa profonda all'Asia orientale, per i cristiani è un calvario senza fine

Matteo Matzuzzi

Il nuovo rapporto di "Aiuto alla Chiesa che soffre" è lunghissimo: la situazione peggiora ovunque nel mondo, per lo più nel silenzio. Il dramma della Nigeria, il caso indiano

Mio Dio, è difficile essere incatenati e picchiati, ma vivo questo momento così come Tu me lo offri. E, nonostante tutto, non vorrei che ad alcuno di questi uomini, cioè i miei rapitori, venisse fatto del male”. Potrebbe sembrare una testimonianza delle grandi persecuzioni dei primi secoli, quando i cristiani, la “setta”, si ritrovavano a pregare di nascosto nelle catacombe e sovente finivano in pasto alle fiere nelle arene, per il divertimento e il godimento del pubblico lì assiepato, ebbro di vino, gioia e sangue altrui. Roba vecchia, insomma, da libri di storia o, più profanamente, da kolossal degli anni Cinquanta. Invece, a parlare così, di prigionia, catene e botte, è una nostra contemporanea, suor Gloria Cecilia Narváez. Ha reso la sua testimonianza ad Aiuto alla Chiesa che soffre, tre mesi dopo la liberazione in Mali, dove era stata rapita da militanti islamisti e tenuta segregata, fra torture fisiche e psicologiche, per quattro anni e mezzo. I rapitori, racconta, s’infuriavano quando si metteva a pregare. Una volta, uno dei capi jihadisti la picchiò, chiedendole beffardamente “se quel tuo Dio ti fa uscire di qui”. Non aveva letto il Vangelo, non sapeva niente del “Salva te stesso” urlato dal ladrone in croce, evidentemente. 

  

L’ultimo rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre 2020-2022, presentato nelle scorse settimane, è lunghissimo. Centoquarantaquattro pagine dettagliate, paese per paese. Un Calvario che attraversa tutto il mondo: le persecuzioni sono in aumento, e chi è perseguitato lo è per la fede. Ci sono più martiri oggi che nei primi secoli, ha detto tante volte Papa Francesco. Frase che è tutt’altro che uno slogan vuoto, ma che è radicata nell’evidenza dei fatti. Anno dopo anno, la situazione peggiora. Se nel 2019 il Pew Research Center dimostrava – dati alla mano – che i cristiani erano il gruppo religioso più perseguitato al mondo, la World Watch List del 2022 di “Porte aperte” notava “cambiamenti di portata epocale nel panorama delle persecuzioni” a danno dei cristiani: per la prima volta in ventinove anni, tutti i cinquanta paesi in cui si commettono maggiori violazioni della libertà religiosa sono stati classificati con livelli di persecuzione elevati”. Aiuto alla Chiesa che soffre, intanto, presenta i numeri, che spiegano molto più delle parole: nel 75 per cento dei paesi esaminati, negli ultimi due anni si è registrato un aumento dell’oppressione o della persecuzione dei cristiani. In Africa, soprattutto, la situazione dei cristiani è peggiorata in tutti i paesi esaminati, con prove di forte aumento della violenza genocida da parte di diversi attori militanti non statali (incluse, ovviamente, le formazioni jihadiste). In medio oriente, le migrazioni hanno aggravato la crisi che già da tempo minaccia la sopravvivenza delle tre grandi comunità cristiane antiche in Iraq, Siria e Palestina. Più articolato il quadro in riferimento all’Asia orientale, dove l’autoritarismo statale ha rappresentato un fattore chiave nell’inasprimento dell’oppressione contro i cristiani in Myanmar, Cina, Vietnam. In altri contesti asiatici, il nazionalismo religioso ha contribuito all’aumento delle persecuzioni contro i cristiani: Afghanistan, India e Pakistan. 

  
A guardare la mappa dell’Africa, si coglie la portata del dramma: se in Mali, Sudan, Eritrea, Etiopia e Mozambico la situazione peggiora, in Nigeria è lecito adombrare lo spettro del genocidio, pur con tutte le cautele del caso derivanti dai vincoli giuridici che limitano tale definizione. Scrive la Società internazionale per le libertà civili e lo stato di diritto che lì “tra il gennaio 2021 e il giugno 2022, sono stati uccisi oltre 7.600 cristiani”. Più di 5.200 quelli sequestrati. Nel solo 2021, sono stati registrati più di quattrocento attacchi a chiese e istituzioni a esse collegate. Il presidente dell’Associazione cristiana della Nigeria, Samson Ayokunle, ha parlato della “esistenza di un’agenda estremista militante per cancellare il cristianesimo”. E’ sufficiente citare due episodi: nel maggio del 2022, la lapidazione e il rogo della venticinquenne Deborah Samuel, rea di aver condiviso su WhatsApp messaggi “blasfemi”; a Pentecoste l’attacco nella chiesa di san Francesco Saverio a Owo, durante la messa: più di quaranta fedeli trucidati. Non si contano gli arresti per adulterio e apostasia. Fino al 95 per cento delle donne rapite e costretto a sposarsi è costituito da cristiane, “il che significa – si legge nel rapporto – che le violenze sono accompagnate dall’obbligo di convertirsi all’islam”. 

 

Negli ultimi tredici anni, “le attività di Boko Haram hanno contribuito in modo significativo a raggiungere un totale di 75.644 nigeriani uccisi, di cui si stima che il 60 per cento sia costituito da cristiani e il 40 per cento da musulmani”. A ciò vanno sommate le violenze commesse dai pastori fulani, comunità a maggioranza islamica, spesso ritratti sbrigativamente come pastori esausti per la scomparsa e l’esaurimento delle terre per i pascoli. La realtà è un po’ diversa: “Per quanto inizialmente questi scontri non fossero prettamente di natura religiosa, sarebbe tuttavia errato interpretare le violenze come semplici scontri fra pastori e contadini. Si tratterebbe infatti di un’interpretazione ingenua ed eccessivamente semplicistica di una situazione che è cresciuta e si è trasformata”. Significativo quanto detto dal vescovo di Kaduna, mons. Matthew Man-Oso Ndagoso. “Prima i mandriani erano armati di bastoni e archi, ora hanno i fucili Ak-47”. Solo negli ultimi tre mesi, nel silenzio pressoché dominante dei media occidentali, almeno 450 cristiani sono morti in attacchi condotti nella zona centrale del passe. La Nigeria non è, come s’è già visto, un caso isolato. L’Africa vive questa tensione tra un cristianesimo in rapida ascesa – in qualche caso “disordinata” – e l’aumento della violenza settaria, etnica e religiosa. 

 

Di Burkina Faso non si parla mai, la maggior parte delle persone non sa neppure collocare questo paese sulla cartina geografica. Eppure, qui sta accadendo qualcosa che non ha niente da invidiare all’avanzata del Califfato islamico nel vicino oriente, anni fa. “In quasi tutta la nazione è all’ordine del giorno il terrorismo di matrice islamista”, diceva il vescovo di Kaya, mons. Théophile Nare. Terrorismo che agisce mediante “espulsioni della gente dai propri villaggi, rapimenti, sequestri, massacri contro la popolazione civile. Il territorio è controllato per quasi il sessanta per cento dagli attori di questa atroce tirannia. Ormai abbiamo un’associazione a delinquere nella quale l’estremismo islamico fa da copertura ai banditi, ladri e malfattori di ogni tipo”.

 

In Mozambico, il 6 settembre del 2022, la missionaria suor Maria De Coppi (83 anni) è stata assassinata a Chipene, nella diocesi di Nacala. Non contenti, i terroristi hanno distrutto il tabernacolo, incendiato la chiesa, la scuola, il centro sanitario, la biblioteca, i collegi maschile e femminile, i veicoli e le case dei sacerdoti e delle suore. In Eritrea, chi non fa parte delle quattro confessioni ufficialmente riconosciute dallo stato (la Chiesa ortodossa eritrea Tewahedo, l’islam sunnita, la Chiesa cattolica e la Chiesa evangelica luterana dell’Eritrea) può incorrere in arresti immotivati. Nel carcere di massima sicurezza di Mai Serwa, a pochi chilometri da Asmara, almeno cinquecento persone sarebbero detenute a causa della propria appartenenza religiosa. Il servizio militare (minimo diciotto mesi) è obbligatorio per tutti i cittadini dai 18 ai 50 anni, non è ammessa l’obiezione di coscienza e chi si rifiuta per ragioni legate alla fede, è arrestato. Per ottenere la liberazione, bisogna “rinunciare all’affiliazione religiosa”.

 

Sono frammenti di una storia, che sarebbe impossibile qui riprodurre nella sua interezza. Tessere che però danno l’idea della tragedia che tanti cristiani soffrono. Anche nelle regioni meno alla ribalta delle cronache, come in certi paesi dell’Asia, dove l’autoritarismo statale limita “o persino soffoca” (sic) la capacità dei credenti di praticare liberamente la propria religione. Quanti sanno, ad esempio, che nelle Maldive “la continua oppressione statale costringe tuttora i cristiani alla clandestinità e che l’esposizione pubblica di simboli cristiani o l’importazione di Bibbie possono comportare l’arresto”? Qui, la Costituzione è chiara: un non musulmano non può diventare cittadino delle Maldive. Risultato: secondo le cifre ufficiali, il cento per cento della popolazione è fedele all’islam, nella realtà c’è “qualche centinaio di cristiani” condannato alla clandestinità. E’ illegale “l’esposizione in pubblico di simboli o slogan appartenenti a una religione diversa dall’islam”. Naturalmente, è vietato importare nell’arcipelago Bibbie e altra letteratura cristiana. Il rapporto è severissimo con la Cina, con buona pace degli storici nostrani che su quotidiani e canali d’informazione vari spiegano come Pechino tenda mani che solo l’ottusità di quanti sono fedeli al princìpi non sanno toccare. La Cina, infatti, “continua a perseguitare e a tentare di controllare i cristiani e i membri di altri gruppi religiosi che non accettano la linea ufficiale del Partito comunista. Non sorprende pertanto che nell’analisi del Pew Forum sulle restrizioni imposte dalle autorità alla religione il paese abbia ottenuto il punteggio più alto di qualsiasi stato nazionale. Ma in Asia la situazione è resa più complicata dal connubio micidiale tra l’autoritarismo statale e il nazionalismo religioso. L’India è il caso emblematico. Nel 2021, il Forum cristiano unito per i diritti umani ha registrato qui 505 casi di violenze e atti di odio – erano “solo” 279 nel 2020 – e 302 nei primi sette mesi del 2022. Il nord è l’area dove la violenza è più forte. La causa? Il moltiplicarsi di accuse di conversione; accuse sostenute dalle leggi che appunto sanzionano chi sceglie di convertirsi. Gli stati indiani che hanno progressivamente approvato leggi che vietano la conversione religiosa con l’inganno o la forza sono dieci. Nello stato di Madhya Pradesh, in base a tale legge sono stati arrestati 75 cristiani, solo nel primo mese di applicazione della normativa. Leggi che però non sono reciproche: a essere sanzionato è solo chi passa al cristianesimo o all’islam, chi invece sceglie di convertirsi all’induismo gode addirittura di vantaggi fiscali. La retorica anticristiana è determinata in primo luogo dalla narrazione secondo cui gli indù sono destinati a divenire minoranza, e ciò in seguito al censimento del 2015 che dimostrava come fossero scesi sotto la soglia psicologica dell’80 per cento della popolazione, per la prima volta nella storia. Nell’ottobre del 2021, i partecipanti a un raduno di massa sono stati esortati a uccidere i cristiani. Il leader religioso indù locale è stato chiaro: “Decapitate coloro che vengono per convertire”

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.