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"Gli ucraini non capiscono il Vaticano, ma il Papa è con noi”, dice il capo della Chiesa di Kyiv

Lunga intervista di Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, che passa in rassegna le incomprensioni del passato e i difetti di comunicazione di quest'anno e mezzo di guerra

Matteo Matzuzzi

"Lo strumento principale per influenzare il corso di alcuni eventi storici per il Vaticano rimane il dialogo, la parola, i contatti, la comunicazione e la diplomazia.  Il Vaticano semplicemente non ha altri strumenti a livello politico. Il Vaticano non si schiera mai da una o dall’altra parte del conflitto, cercando di starne al di sopra"

Mentre si conclude la missione del cardinale Matteo Zuppi a Mosca, inviato dal Papa per cercare di rimuovere il più possibile gli ostacoli alla pace (fruttuosi i colloqui con il Patriarca Kirill, recita il comunicato vaticano), in Ucraina il capo della Chiesa greco-cattolica, Sviatoslav Shevchuk, è tornato a parlare del conflitto e a chiarire cosa si pensi a Kyiv della posizione della Santa Sede. L’ha fatto rispondendo alle domande di Glavkom, una delle più importanti testate ucraine anche per far capire a quanti da un anno e mezzo, in patria, non comprendono quel che si dice e si fa a Roma.  “Lo strumento principale per influenzare il corso di alcuni eventi storici per il Vaticano rimane il dialogo, la parola, i contatti, la comunicazione e la diplomazia.  Il Vaticano semplicemente non ha altri strumenti a livello politico. Il Vaticano non si schiera mai da una o dall’altra parte del conflitto, cercando di starne al di sopra”.  “Questo – dice Sviatoslav Shevchuk – serve per non perdere l’occasione di dialogare con entrambe le parti. Certo, questo fatto a noi è sembrato un po’ strano, magari ci faceva male. Avremmo voluto che il Papa si schierasse inequivocabilmente dalla parte dell’Ucraina, anche a livello diplomatico e politico, condannando per nome i rappresentanti dell’aggressore. Avremmo voluto che dicesse chiaramente chi era l’aggressore e chi la vittima. Adempiendo tuttavia al ruolo tradizionale dell’arbitro mondiale nella riconciliazione di vari conflitti, il Vaticano ha usato una terminologia diversa e successivamente abbiamo sentito dire che la neutralità diplomatica non significava la neutralità morale”. Intanto, chiarisce l’arcivescovo,  “il Papa vuole veramente fare il possibile per fermare questa guerra. E cosa significa? Il Papa vuole essere messaggero di buone notizie per il popolo ucraino. Ma come poterlo fare? Oggi vediamo che la guerra, tutti i crimini commessi dalla Russia in Ucraina fanno del nostro paese una delle più grandi sfide di questo pontificato, una delle più grandi sfide della missione di Papa Francesco nel mondo moderno. Il Santo Padre in persona, così come le strutture della Santa Sede, sono diventati il centro di azione umanitaria mondiale per salvare le vite umane in Ucraina. Passi concreti che ci dicono da che parte sta il Papa. La sua lettera al popolo ucraino, di cui avevamo bisogno, diventata l’esempio di empatia pastorale nei confronti dell’Ucraina, dice che è dalla parte ucraina”. Premessa d’obbligo, è tempo di chiamare le cose con il loro nome: “L’aggressore è aggressore, il criminale è criminale, la vittima è vittima. Per noi oggi è evidente che i russi vengono in Ucraina per uccidere o essere uccisi. Dunque, chi sono? Sono dei criminali. Davanti ai nostri occhi avvengono gravissimi crimini di guerra contro la popolazione civile”. 

 

Certamente non sono mancati problemi, comunicativi soprattutto. Shevchuk avverte quella che l’intervistatore definisce “l’indignazione interna ucraina per le posizioni del Vaticano”. Questo, risponde Shevchuk, “è evidente. Tra l’altro, ne ho parlato direttamente con il Papa. Nel novembre 2022 sono venuto a incontrarlo per la prima volta dall’inizio dell’invasione su vasta scala. Proprio in quel periodo egli era tornato da una visita in Bahrein. Rispondendo, lui ha parlato del popolo russo, chiedendosi come in questo modo potevano comportarsi i russi che sono una nazione di grande cultura? Allora ha citato Dostoevskij. Sono stato il primo a incontrarlo la mattina dopo quelle dichiarazioni. Mi ha ricevuto all’udienza privata. Quindi ho chiesto direttamente: sa, Santo Padre, cosa si dice oggi in Ucraina di Lei? Mi ha risposto di no. Poi gli ho detto: gli ucraini dicono che non ha letto bene Dostoevskij. Ha chiesto perché. ‘Vede’, – gli ho risposto – ‘tutti oggi avvertiamo che le idee sulla grande cultura russa sono un mito. Infatti, noi in Ucraina possiamo testimoniare una realtà completamente diversa. Purtroppo, oggi la Sede apostolica, l’Europa e altre istituzioni internazionali sono in pericolo, come lo erano alla vigilia della Seconda guerra mondiale’, quando i filosofi, gli esponenti della cultura, sentendo la parola ‘tedesco’, ‘nazione tedesca’, si immaginavano poeti, filosofi, musicisti tedeschi, la grande cultura tedesca, che era la pietra angolare della cultura europea. Invece in Germania al potere c’erano i nazisti, cioè i criminali. E poi il mondo intero si è chiesto: come è potuto accadere che una nazione europea così grande e acculturata sia stata in grado di commettere ciò che ha simboleggiato Auschwitz, e cioè i crimini di guerra: lo sterminio di milioni di ebrei? Oggi assistiamo alla stessa cosa (rispetto della situazione in Russia e il comportamento dei russi in Ucraina). Quindi tutti noi in Ucraina sentiamo che oggi il Papa sembra non comprendere appieno il dolore dell’Ucraina, e l’Ucraina non comprende il Papa. Non capisce certi suoi gesti, certe sue azioni. Gliel’ho detto a quell’incontro”. E Francesco ha capito? “Ha ascoltato attentamente. Vedremo anche nel futuro quanto ha recepito. Comunque, successivamente alcuni passi sono stati fatti. Si nota un’evoluzione di certi pensieri, punti di vista, vi è una ricerca di strumenti migliori perché la sfida principale per il pontificato possa essere adeguatamente risolta, possa ricevere una valida risposta”.

 

Di certo, chiarisce Shevchuk, “il Vaticano è un bersaglio molto importante dell’influenza russa. Questo deve essere chiaro. Quali fattori formano questa influenza? Prima di tutto, il fatto che Papa Francesco è argentino. Cioè, la sua visione del mondo è quella del sud. Ho incontrato il Papa a Buenos Aires. Capisco molto bene le matrici della visione del mondo presenti nei leader che vengono dal Sudamerica. Una delle caratteristiche inerenti alla cultura argentina è una profonda sfiducia nei confronti del nord, cioè degli Stati Uniti e dell’Europa”. Papa Francesco “cerca sempre di dare più voce, nelle strutture della Chiesa cattolica, alle persone che vengono dalla periferia. Ha concesso la dignità cardinalizia a persone mai arrivate a questo livello della Chiesa: ad esempio, di recente è diventato cardinale un vescovo della Mongolia, nonostante in Mongolia ci siano pochissimi cattolici. Ma il Papa va in Mongolia, rafforzando così la periferia. Questa è la sua visione dello sviluppo della Chiesa, per rafforzare la voce di coloro che erano emarginati nei paesi più poveri”. 

 

Ma c’è un altro problema, particolarmente avvertito in Ucraina, ed è quello della comunicazione: “Oggi il Papa di fatto non ha un portavoce che possa, diciamo, essere un comunicatore costante con i giornalisti quando non capiamo il Papa o quando le sue dichiarazioni non sono del tutto chiare. Naturalmente tutti vogliono capire cosa ha detto veramente il Papa, cosa voleva dire? E se non capiamo, a chi possiamo rivolgerci per avere dei chiarimenti? In precedenza, se ne è sempre occupato il portavoce. E oggi manca. Non so perché, e non riesco a capirlo. Il Papa vuole essere portavoce di se stesso.  Certo, notiamo che l’Ucraina non capisce il Papa quando si tratta di noi, della nostra guerra, dei nostri dolori, delle nostre sofferenze. Ma ci sono molte crisi di comunicazione simili in altri ambiti. Forse, senza rendersene conto, il Santo Padre e il Vaticano si sono trovati in prima linea in una guerra ibrida con la Russia, non essendone preparati abbastanza. Come se la caveranno? Non lo so”. Su un punto in particolare la riflessione di Shevchuk merita attenzione, anche rispetto alle considerazioni che da un anno e mezzo si fanno sul nazionalismo a tratti esasperato della Chiesa greco-cattolica ucraina. Dice l’arcivescovo maggiore di Kyiv: “La nostra identità cattolica non è una questione politica, bensì una questione spirituale, una questione ecclesiastica. Le ripeto che non ho paura che i fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina lascino la nostra Chiesa per delle incomprensioni che abbiamo oggi con certe posizioni politiche di alcune persone della Chiesa. Al contrario, penso che oggi, come l’Ucraina, dovremmo essere sempre più consapevoli e capire quale ruolo ha il Santo Padre nel mondo e nella Chiesa. Anche criticandolo come figli, diremo di cosa ci aspettiamo da lui come da nostro padre! Ogni sana critica è utile e, curiosamente, il papa ce la permette chiamando alla parresia e l’ascolta”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.