Sviatoslav Shevchuk (Ansa)

L'intervista

“L'indifferenza porta al genocidio. Non dimenticateci”. Parla l'arcivescovo di Kyiv

Matteo Matzuzzi

Le bombe durante la messa, i morti ovunque. A quasi un anno dall'inizio dell'invasione russa, il capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina si dice "grato per l'immensa solidarietà universale della Chiesa cattolica". "Siamo stati capaci di sopravvivere e di servire il nostro popolo"

“Ci sono tante proposte di pace per l’Ucraina, alcune delle quali puntano a compromessi e negoziati. Io provo un brivido di dolore quando sento parlare di territori occupati da liberare: non si tratta di territori, ma di persone. Noi dobbiamo liberare questi uomini e queste donne che vivono nelle zone ora in mano all’esercito russo. Chiediamo che il mondo non chiuda gli occhi, che non si stanchi di guardare all’Ucraina. Perché la verità, come dice anche il Papa, è la prima vittima della guerra di disinformazione che stiamo vivendo. L’indifferenza porta al genocidio”. A dirlo è Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc, capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina, conversando con alcuni giornalisti, ieri mattina. A un anno dall’inizio del conflitto, Shevchuk ha voluto fare il punto, sottolineando come siano due i sentimenti che prova in questo tempo: gratitudine e impotenza. “Gratitudine perché vediamo l’immensa solidarietà universale della Chiesa cattolica e gioia perché siamo stati capaci di sopravvivere e di servire il nostro popolo. Impotenza perché siamo stati incapaci di prevenire questa guerra. Già alla fine del 2021 c’erano tutti i segnali, il conflitto si stava avvicinando. E nessuno strumento del diritto internazionale è riuscito a fermare la situazione, a evitare questa assurda e sacrilega guerra. Ogni giorno ci sono nuove vittime, i funerali ormai non si contano più”.

 

“Noi – dice Shevchuk – siamo un popolo traumatizzato, tant’è che come Chiesa abbiamo approvato un programma pastorale per la cura delle tante ferite. Tutti sono feriti, perché chi anche solo una volta ha sperimentato un bombardamento, se lo ricorderà per sempre. A novembre, mentre pronunciavo l’omelia in una chiesa di legno a Zaporizhzhia, sono caduti sette missili russi. E questo lascia cicatrici, nella mente e nei cuori. Ogni parrocchia è divenuta un centro di assistenza, grazie a Dio nessuno quest’anno è morto di fame o sete nelle zone sotto il controllo del governo di Kyiv. Ma posso dire che abbiamo incontrato Cristo vivente in queste persone che hanno perso tutto. Andiamo avanti navigando a vista ma avendo davanti a noi l’immagine di Cristo crocifisso”. Inevitabile parlare di numeri. Circa i prigionieri di guerra, stime ufficiali non ve ne sono, quel che si può dire è che “due sacerdoti greco-cattolici sono imprigionati e altri due si trovano in una città occupata, vivendo in clandestinità e senza poter esercitare il proprio ministero. Un sacerdote e una suora sono stati feriti a Kharkiv, mentre portavano aiuti nella zona appena liberata. Diciassette sono le chiese distrutte, anche se molte sono state semplicemente abbandonate. In tutto – dice l’arcivescovo – sono 500 fra chiese, case di preghiera ed edifici di culto distrutti”.

 

Quel che si nota è che progressivamente la gente sta tornando: “Oggi a Kyiv ci sono 1,5 milioni di persone, un anno fa ne erano rimaste 800 mila. Gli sfollati rientrano, cercando la città sicura più vicina alla loro casa, per tornarci appena possibile. A Kharkiv, ogni giorno tremila ucraini ricevono cibo nella nostra cattedrale”. L’occidente discute di armi, Zelensky ne chiede di più e le cancellerie si organizzano, non senza tensioni interne: “L’esercito russo usa molte più armi degli ucraini e la nostra capacità di difenderci non è dunque ancora proporzionata. Il Consiglio panucraino delle Chiese considera moralmente accettabile l’arrivo di armi per la difesa”. Mesi fa si era parlato di un imminente provvedimento per mettere al bando la Chiesa ortodossa dipendente dal Patriarcato di Mosca. “Il divieto non c’è ancora. Quel che vediamo è un confronto aperto con l’opinione pubblica. Prima o poi questo sentimento sarà politicamente sfruttato. Prima della guerra c’era chi reclamava unità, ma oggi c’è una forte domanda sociale di vietare il funzionamento di questa Chiesa. C’è odio, anche se questo non è un sentimento cristiano. Ci sono nove progetti di legge finalizzati a fare in modo che nessuna istituzione religiosa possa essere strumentalizzata da un paese straniero per scopi politici”. E la Chiesa ortodossa fedele a Kirill si mantiene ambigua: “Da tempo hanno dichiarato di essersi staccati da Mosca, ma il patriarca continua a dire che l’Ucraina è suo territorio canonico. Molti vescovi e preti continuano a ricordarlo nelle liturgie. Non hanno deprecato l’aggressione e di fatto non c’è alcuna prova che questa Chiesa si sia resa autonoma da Mosca”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.