"La Santa Sede può dire la sua in Ucraina, il problema è a Mosca". Intervista

Parla don Stefano Caprio, docente del Pontificio Istituto Orientale e grande esperto di Russia: "Kirill non vuole la guerra, ma la situazione gli è scappata di mano"

Matteo Matzuzzi

“In molte chiese ucraine del Patriarcato moscovita, domenica scorsa non è stato ricordato il nome di Kirill.  Una cosa grave e significativa, perché se Mosca perde l’Ucraina, il Patriarcato diventa minoranza nell’ortodossia"

La Santa Sede può facilitare un’intesa fra la Russia e l’Ucraina, “perché in Ucraina la Santa Sede ha un suo peso”, dice al Foglio don Stefano Caprio, docente di cultura russa al Pontificio istituto orientale di Roma  e profondo conoscitore della realtà che un tempo si sarebbe definita “d’oltrecortina”, se non altro per averci vissuto dal 1989 al 2002. “In Ucraina l’incrocio tra le chiese è tale che la Santa Sede potrebbe dire la sua e dare qualche risultato. Non solo perché il 15 per cento di fedeli ucraini è greco-cattolico e il 5-6 per cento latino. L’apoteosi sarebbe che il Papa si incontrasse con Kirill a Kyiv, ma mi rendo conto che allo stato è impossibile”, dice don Caprio. “È un conflitto anche religioso e culturale, quello cui stiamo assistendo, perché lì, in Ucraina, si scontrano le obbedienze, le giurisdizioni, le tensioni che variano fra Costantinopoli e Mosca. La Chiesa di Kyiv è nata per essere in comunione con tutti, per cui sarebbe significativo se si unissero nel chiedere la pace il metropolita della Chiesa autocefala ucraina e il metropolita Onufri (che risponde a Mosca)”.

  

Un bel problema, acuito dal fatto che la posizione del patriarca Kirill appare ambigua, a volte sembra il cappellano del Cremlino, tanto è schierato con Vladimir Putin. “Kirill – dice don Caprio – lo conosco da quando ero giovane. È innamorato della Chiesa cattolica, dei gesuiti, dell’occidente. Non è per niente d’accordo con l’invasione dell’Ucraina, però ha ispirato un certo nazionalismo ortodosso che ora gli è scappato di mano. Putin è andato oltre il disegno originario e ora, Kirill, non sa cosa fare. Non può contestare il presidente né appoggiarlo. E’ in mezzo”. 

 

“C’è una parte del patriarcato di Mosca che è molto putiniana, ma un numero considerevole di membri del clero moscovita gli è ostile. La maggioranza del popolo russo, poi, appoggia Putin perché ne condivide l’idea di tornare allo zarismo e di restaurare in qualche modo l’Impero sovietico, ma non sostiene la guerra. Aspetto che Putin ha sottovalutato”. Cosa succederà ora? “Se il Cremlino otterrà la neutralità ucraina potrà vantarsi di aver risolto il problema: fermata la Nato e creato un territorio neutrale attorno alla Russia, che poi è lo scopo principale dell’azione di questi giorni. A meno che, ovviamente, la situazione non sfugga di mano, cosa sempre possibile”. La Chiesa russa, intanto, si trova in una posizione estremamente delicata: “In molte chiese ucraine del Patriarcato moscovita, domenica scorsa non è stato ricordato il nome di Kirill. È come se da noi i sacerdoti omettessero, durante la messa, di pronunciare il nome del Papa o del vescovo diocesano. Una cosa grave e significativa, perché – prosegue il nostro interlocutore – se Mosca perde l’Ucraina, il Patriarcato diventa minoranza nell’ortodossia”.

 

Uno scenario quasi apocalittico. “Sì, calcoliamo che oggi il 70 per cento degli ortodossi nel mondo appartiene al Patriarcato di Mosca e di questi il 35 per cento è rappresentato da fedeli ucraini. Un’enormità. Inoltre, la metà dei preti ortodossi in Russia è ucraina. È chiaro che Kirill non possa perdere l’Ucraina, e lui lo sa benissimo: prima del 2014, lui si recava tre volte all’anno in quel paese, curandolo con estrema attenzione. La Chiesa ucraina, insomma, riveste un’importanza fondamentale per Mosca, se si pensa anche che la Crimea dipende ancora dalla Chiesa ortodossa ucraina, che è fedele a Mosca”. Quel che è importante fare, per comprendere la situazione, dice don Stefano Caprio, è studiare la storia, i simboli, la geografia: sapere cos’è il Donbas, perché – anche storicamente – sia così importante per l’ideologia putiniana (“Il principe Dimitri di Mosca lì vinse sui tatari”, ad esempio). Conoscere la storia è utile anche per rispondere alla ricostruzione storica che fa Putin, visto che “Kyiv viene prima di Mosca, ma il leader del Cremlino porta ogni cosa dalla sua parte, come hanno fatto prima di lui i vecchi principi, gli zar e poi i capi del Partito comunista”. E poi ricordarsi “che l’Ucraina è il centro geografico dell’Europa. Se la perdiamo, dovremmo chiederci cos’è l’Europa e cosa siamo noi”. 

 

Intanto, sul terreno l’avanzata russa prosegue. Nel pomeriggio di ieri, il segretariato dell’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyc, ha lanciato l’allarme: “Sono giunte informazioni che le truppe russe stanno preparando un attacco aereo sul santuario più importante del popolo ucraino dai tempi della Rus’ di Kyiv: la cattedrale di Santa Sofia di Kyiv. Sua Beatitudine Sviatoslav (Shevchuk, ndr), capo e padre della Chiesa greco-cattolica ucraina, invita tutti i cristiani a pregare per il santuario spirituale dei popoli slavi ed esorta l’aggressore ad astenersi da questo orribile atto di vandalismo. Possa Santa Sofia – la Sapienza Divina, – far rinsavire coloro che hanno deciso di commettere questo crimine”, ha detto mons. Shevchuk. Oggi, Mercoledì delle ceneri, è la giornata di digiuno e di preghiera per la pace indetta dal Papa.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.