Sviatoslav Shevchuk è arcivescovo maggiore di Kiev-Halyc, nonché capo e padre della chiesa greco-cattolica ucraina (Reuters)

“L'Ucraina difende i valori europei ma in occidente non lo capite”. Parla l'arcivescovo di Kiev

Matteo Matzuzzi

Tra guerre e crollo di ogni evidenza, torna la domanda fondamentale: “Vale la pena di essere liberi?”. Conversazione con l’arcivescovo greco-cattolico, Sviatoslav Shevchuk

Roma. “Se parliamo della guerra in Ucraina, allora parliamo della guerra in Europa. Alcuni storici definiscono l’Ucraina come ‘la porta orientale dell’Europa’ e se a questa porta bussano degli aggressori, allora tutto il continente è aggredito”, dice al Foglio Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, arcivescovo maggiore di Kiev-Halyc, nonché capo e padre della chiesa greco-cattolica ucraina. Lo è da otto anni, quando giovanissimo (quarantunenne) fu eletto a tale carica dal Sinodo locale e confermato da Benedetto XVI. Una conversazione con lui non può che partire dalla situazione in cui versa la sua terra, dilaniata da un conflitto che ormai si trascina da troppi anni. “Forse adesso i paesi europei occidentali non percepiscono questa aggressione contro di loro dal punto di vista militare, ma non possono non vedere l’attacco sferrato dal punto di vista per così dire ‘informativo’. Oggi la guerra è ibrida, è la guerra della disinformazione”. L’aggressione è quella russa: “La guerra si fa con armi economiche, l’Europa è sempre più dipendente dal petrolio e dal gas di Mosca. Così, comprandoli a prezzi speciali, non solo fa convertire i suoi soldi nelle armi che attaccano lo stesso continente europeo, ma fa in modo che quei soldi alimentino la corruzione. Al giorno d’oggi il conflitto ha cambiato volto; questo grande male colpisce il cuore, la mente, la carne ma anzitutto colpisce l’essere umano nelle sue capacità di essere autenticamente libero e di collaborare con il suo prossimo per il bene comune. L’Ucraina è un paese che difende l’Europa e gli autentici valori europei e non deve essere considerato un problema per questo continente, bensì una soluzione. Tutto quello che oggi viviamo qui, che cerchiamo di risolvere, prima o poi diverrà ricchezza di tutta l’Europa. Io – dice Sviatoslav Shevchuk – credo nell’Ucraina e credo nell’Europa. Ci fa male che l’Europa occidentale si dimentichi di noi: abbiamo bisogno della vostra solidarietà, della vostra riflessione sul futuro dell’Europa. Peccato che in questa riflessione l’Ucraina non sia sempre presente. Abbiamo bisogno della vostra collaborazione perché abbiamo molto da offrire anche a voi, e così insieme potremo essere più forti, e anche avere una speranza nell’Europa sviluppata e fraterna dove si possa veramente vivere e prosperare”. L’invito è quello a “visitare il nostro paese, per vedere come sono vissuti e professati dal popolo ucraino – che con il proprio sangue difende la patria e l’Europa – i valori europei, quelli della dignità della persona umana, del bene comune, della solidarietà e della sussidiarietà”.

 

 

“La chiesa ortodossa russa è stata usata come strumento per la guerra imperiale di Mosca che si combatte in Ucraina”

Europa è un concetto che ritornerà spesso nel dialogo con l’arcivescovo, spesso sembra usato addirittura quasi come sinonimo di Ucraina. Il riferimento non è tanto alla costruzione istituzionale, ai palazzi di Bruxelles, quanto all’enorme serbatoio culturale e sociale che per secoli ha plasmato un’identità che fino al Novecento permeava anche la terra ucraina, parte dell’impero multinazionale asburgico, almeno in una sua parte. Shevchuk lo fa capire quando ricorda che “l’Ucraina è un paese europeo, e non solo da un punto di vista geografico. Si parla di Europa orientale, ma pur sempre di Europa. Anche dal lato socio-culturale, il popolo ucraino nella sua storia è cresciuto nel contesto della cultura europea, giovandosi dell’incontro dell’esperienza bizantina e di quella occidentale-latina”. 

  

E’ – dice Sviatoslav Shevchuk – un incontro che ha sempre arricchito la cultura del nostro popolo, che si riconosce da sempre come membro della grande famiglia delle nazioni europee sotto il profilo legislativo, artistico, del pensiero teologico e filosofico. Anche nel modo di concepire lo stato, la società e il bene comune. Si sente europeo, soprattutto, nel modo di sentire la libertà come valore davvero importante. Il popolo ucraino è il popolo libero delle persone libere e questa attenzione alla libertà della persona umana, al cuore umano, fa parte della cultura europea. Un’attenzione che è stata vissuta in modo molto forte dal mio popolo nel corso della sua storia”.

 

Lo scontro tra il Patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli, dove “a essere in gioco è il futuro della chiesa ortodossa stessa”

L’arcivescovo greco-cattolico è spettatore della più grande frattura degli ultimi secoli in seno all’ortodossia, con la creazione del Patriarcato di Kiev e lo scisma tra Mosca e Costantinopoli e il gelo sceso tra Kirill e Bartolomeo, patriarchi un po’ meno fratelli: “Se cercassimo di considerare più da vicino di cosa si tratta, vedremmo che qui si scontrano due visioni diverse della chiesa e del suo ruolo nella società e nel mondo. Purtroppo la chiesa ortodossa russa è stata usata come strumento per la guerra imperiale di Mosca che si combatte in Ucraina. Speriamo sia l’ultima nel mondo moderno e che altri imperi non si diano nuovamente alla riconquista delle loro antiche colonie ormai emancipatesi. La presenza della chiesa ortodossa russa nel nostro paese è vista dunque come quella di un aggressore dagli stessi ortodossi”. E il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli? “Se consideriamo la visione di quest’ultimo, vedremmo che esso si considera chiesa madre del cristianesimo in Ucraina”. Una questione a dir poco complicata. “Bisogna considerare che la chiesa di Kiev è la chiesa madre per la chiesa di Mosca”, spiega Shevchuk, che aggiunge: “Costantinopoli si preoccupa non tanto delle ragioni politiche ed economiche, ma guarda ai suoi figli. Sappiamo che da venticinque anni in Ucraina esiste un grande gruppo di ortodossi, considerati prima nel mondo ortodosso come ‘non canonici’, e si discuteva se questi uomini e donne potessero essere salvati o se fossero destinati tutti all’inferno, come sostenevano alcuni rappresentanti della chiesa del Patriarcato di Mosca. A questa domanda Bartolomeo ha dato una risposta, aprendo le porte del cielo a milioni di ucraini. Questo approccio di Costantinopoli, secondo me, è anzitutto pastorale, e quando il Patriarca ha mostrato il volto materno della chiesa che si preoccupa del dolore e delle ferite degli ortodossi ucraini, il popolo ferito dalla guerra ha avvertito ciò realmente come una luce della grazia del Signore”. Perciò, prosegue l’arcivescovo di Kiev, “non c’è soltanto uno scontro tra i due centri religiosi ‘stranieri’ sul terreno ucraino come si trattasse di una partita puramente diplomatica o politica, ma – a mio avviso – a essere in gioco è il futuro della chiesa ortodossa stessa. Penso che questo dibattito aiuterà tutti a riscoprire che cos’è la chiesa. E’ puramente un’entità politica o è il corpo di Cristo che soffre con le ferite dei suoi membri, il corpo di Cristo che nelle sue ferite ci offre la salvezza? A mio giudizio è anche una battaglia per la libertà della stessa chiesa, per potere essere se stessa ed essere capace di svolgere il ruolo pastorale e profetico cui è chiamata in questo tempo”. Il quadro è fluido, dunque. Se dovesse fare una diagnosi sullo stato di salute dell’Ucraina, oggi quale sarebbe? “Il mio paese, la mia gente, è profondamente ferita; porta ancora nella carne le ferite del comunismo e del passato sovietico, del totalitarismo staliniano. Le ferite della Seconda guerra mondiale non sono state curate nel Dopoguerra. Le forze di Stalin sono riuscite a ottenere la vittoria bellica e lo spirito guerresco, quello del voler dominare altri paesi, è rimasto. Anche il popolo ucraino è divenuto schiavo di questo militarismo. A queste ferite inflitte dal comunismo ora si sovrappongono quelle dell’aggressione russa. Più di diecimila persone sono state ufficialmente uccise, migliaia i dispersi. Milioni sono gli sfollati. Abbiamo decine di migliaia di feriti, ma tutto il paese soffre una ferita psicologica, perché la guerra incide non soltanto nella carne ma anche nell’anima della persona umana. Queste ferite sono vive in Ucraina nella forma di un grande e crescente dolore, espresso in forme differenti”. Spiega Shevchuk: “Da una parte la gente ha bisogno di attenzione, di ascolto, di aiuto e solidarietà. Dall’altra parte osserviamo come esista una grande volontà di conversione. Perché queste ferite possono essere curate soltanto con la misericordia e l’amore di Dio. In questo contesto, fra tanta sofferenza, la gente si pone domande fondamentali: Dio è con noi o Dio si è dimenticato di noi? Vale la pena di percorrere la via della liberazione? La libertà è una benedizione o una maledizione? Vale la pena essere liberi o è meglio scendere a compromessi, scambiando la libertà per vivere tranquilli da schiavi? Le stesse domande – osserva l’arcivescovo di Kiev – le possiamo leggere anche dalle pagine delle Sacre Scritture a proposito della liberazione del Popolo eletto dalla schiavitù in Egitto. Per questo la chiesa in Ucraina è divenuta un vero ospedale da campo, come dice Papa Francesco, perché soltanto dalla chiesa la gente spera di ottenere le risposte a queste domande fondamentali, nonché la testimonianza autentica della solidarietà e l’orientamento morale e spirituale da tenere, le cure adeguate ed efficienti nel contesto del grande dolore provocato dalla guerra”.

 

“L’occidente deve recuperare il valore riferito alla dignità della persona umana, altrimenti sarà la fine di ogni tipo di democrazia”

Più volte Sviatoslav Shevchuk ha ripetuto che è solo grazie alla fede in Cristo che il popolo ucraino ha riscoperto la propria dignità e questo ha dato la forza per resistere alla persecuzione dell’ateismo sovietico. Una forza che è visibile oggi, davanti all’aggressione di quello che definisce l’imperialismo russo. “E’ il tema centrale. Qual è il fondamento della dignità della persona umana, ma anche il fondamento di ogni giusta società umana? La risposta è che la dignità della persona umana non dipende dallo status che deriva dalla stima umana o dalla legislazione di uno stato, bensì dal Dio creatore. Ci ha creati a sua immagine e somiglianza. Di più: Dio è diventato uomo, si è incarnato nella natura umana e così ha rivelato che siamo figli e figlie di Dio. Proprio la consapevolezza di questa dignità intrinseca e sublime è il fondamento per capire chi siamo. Io – dice – ricordo le parole di Papa Benedetto XVI, secondo cui riscoprire la propria dignità è di per sé una rivoluzione. Proprio questo è accaduto in Ucraina nel 2014, con la ‘Rivoluzione della dignità’. Il nostro popolo, indipendentemente dall’origine etnica o religiosa e dall’orientamento politico, ha capito che senza il rispetto verso la vita umana non c’è una società giusta dove si possa vivere a pieno. Perciò questa divina umanità riscoperta in Cristo non soltanto ci aiuta a costruire un paese migliore, una casa comune dove ogni essere umano, ogni persona umana sarà rispettata veramente nella sua dignità ontologica, ma ci dà anche la forza di resistere, perché ora tutti i cittadini ucraini – anche quelli che parlano russo nell’Ucraina orientale – si oppongono e resistono all’aggressione di Mosca pagando con la propria vita. Capiscono che difendono non soltanto l’Ucraina come paese ed entità politica, bensì difendono la propria dignità e quella dei propri figli. Ciò ci rende forti, ci aiuta ad andare avanti e a essere testimoni della dignità della persona umana ed è proprio questa dignità a essere la pietra angolare di ogni società europea: è un valore europeo imprescindibile. Voglio dire di più: se al giorno d’oggi nelle democrazie occidentali tale valore non sarà recuperato, se la vita umana non sarà il bene più prezioso e se le ragioni economiche prevarranno sulla dignità della persona umana, sarà la fine di ogni tipo di democrazia. Perciò posso affermare che oggi l’Ucraina difende l’Europa non solo dal punto di vista geografico ma anche da quello dei valori fondamentali”. Shevchuk insiste su Dio e la fede, parole che in quell’Europa dove lui colloca l’Ucraina –  e non solo, come s’è visto, per ragioni storiche – sono diventate estranee, quasi fossero lessico antiquato nel continente delle cattedrali tanto care a Robert Schuman. “Penso che oggi il concetto di periferia non sia più solo geografico. Il significato del centro e della periferia dipende da ciò che poniamo al centro della nostra vita. Se una persona vi pone soltanto il benessere materiale, il suo orizzonte si chiude sul confine di questo mondo. Ma se l’uomo mette al centro della sua vita Cristo o la persona umana come tale, con le sue aspirazioni eterne e la trascendenza che tende a superare il confine di questo mondo, riscopre la vita umana come qualcosa che va oltre la realtà che conosce, si apre alla trascendenza e alla prospettiva della fede. Pertanto – dice l’arcivescovo di Kiev – ogni persona umana in tutto il mondo, in qualsiasi continente, è chiamata a scegliere, a decidere chi o che cosa porre al centro della propria esistenza. In tempi come questi di dure prove e sofferenza, gli ucraini vogliono essere un popolo di fede, perché solo così saranno capaci di resistere al male di questo mondo”. Concetti che si trovano anche tra le righe dell’ultimo libro di Sviatoslav Shevchuk, Dimmi la verità, edito in Italia da Cantagalli (248 pp., 18 euro). E’ un tentativo di rispondere alla domanda su cosa sia la verità. Viene in mente un passo di Vita e destino, il capolavoro dell’ucraino Vasilij Grossman, quando si afferma che “vivere senza verità, o con qualche briciola, qualche suo frammento, qualche verità tosata o potata, è difficile, perché un pezzo di verità non è più verità”. “Quanto l’uomo moderno ha bisogno di capire cosa davvero significhi la verità!”, dice l’arcivescovo di Kiev. “Nella lingua ucraina abbiamo due parole per dire ‘verità’: pravda e istyna. La parola istyna significa la verità suprema, oggettiva, integra. Questa verità è Cristo, è la Persona. Chi scopre questa Verità diventa libero, perciò dice il Signore: conoscete la verità e la verità vi farà liberi. Ma poi c’è l’altra parola, pravda, che indica la verità personale, soggettiva, la verità creata da ciascuno secondo il proprio modo di pensare e di concepire il mondo; secondo il proprio modo di conoscere la realtà e di creare le relazioni. Secondo la verità ‘atomizzata’ da un individuo, questa parte della verità sembra essere vera per un individuo ma, allo stesso tempo, sbagliata per un altro. Per uscire da questo individualismo e per concepire che cosa sia vero e falso, l’uomo ha bisogno di aprirsi, di entrare in contatto con l’altro, soprattutto con l’Altro con la ‘A’ maiuscola. Così possiamo capire e sperimentare la Verità, perché la Verità è una persona che abbiamo incontrato e vissuto nell’esperienza della relazione. Ricordiamoci la domanda di Pilato. Gesù gli dice: ‘Io sono venuto in questo mondo per rendere testimonianza alla verità’. Pilato gli risponde: ‘Che cos’è la verità?’. E il discorso termina perché la verità non è una cosa, bensì una persona presente davanti a lui”. Qual è allora il nesso tra la verità e la libertà? “Secondo la visione spirituale della teologia orientale, la libertà non è la capacità di scegliere fra il bene e il male. Il libero arbitrio è soltanto una chiamata verso la libertà. Possiamo diventare davvero liberi solo dopo aver scelto il bene. Ricordiamo l’immagine quando il popolo eletto termina il suo viaggio nel deserto e deve attraversare il Giordano. Aveva rinnovato il patto con il Signore e il Signore aveva detto: ‘Io pongo di fronte a te due scelte, la vita e la morte, scegli la vita. La libertà è scegliere la vita. Se uno sceglie la vita che si è manifestata attraverso la verità della Parola di Dio, diventa libero. Ma se sceglie il male, sceglie la morte e allora diventa schiavo del male. In questo modo si perde la possibilità di scelta. E’ per questo che auspico che tutti noi, nel corso della nostra vita, scegliamo ciò che è il bene e il vero, perché solo così potremo diventare autenticamente liberi”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.